Albert Watson Roma Codex: la magia inattesa di una città che non si fa prendere per mano

Tempo stimato per la lettura: 3,6 minuti
C’è qualcosa di elettrico nell’aria. Non è solo primavera avanzata, non è solo il profumo dei tigli lungo il Tevere. È Roma che si lascia guardare — e finalmente si racconta. Dal 29 maggio al 3 agosto 2025, il Palazzo delle Esposizioni apre le sue sale a Roma Codex, la più imponente mostra mai dedicata in Italia ad Albert Watson, maestro assoluto dell’obiettivo, narratore visivo dal talento inquieto e dalla visione obliqua.
Un progetto ambizioso, promosso dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, che scuote le fondamenta del nostro immaginario collettivo sulla città eterna. A curarla è Clara Tosi Pamphili, con quella sensibilità che riesce a trasformare ogni fotografia in una parola non detta.
Non il solito postcard dream
Dimenticate la cartolina. Albert Watson non si è accontentato di “fotografare Roma”. L’ha vissuta, sfiorata, attraversata. Senza un piano, senza una mappa. L’ha inseguita nei vicoli alle prime luci dell’alba, l’ha sorpresa nei club sotterranei, nei volti stanchi di artisti a fine giornata, tra le quinte silenziose di Cinecittà e i caffè che resistono alle mode.
«Ho fotografato in modo istintivo», racconta Watson. E quell’istinto è diventato codice. Roma Codex, appunto: un atlante visivo che scompone e ricompone Roma secondo nuove coordinate. La Roma che scivola tra l’oro antico delle sue pietre e il brivido delle sue notti più vive.
Un atlante umano e urbano
Duecento scatti, in bianco e nero e a colori, molti in grande formato. Nessuna cronologia, nessun tema. Solo intuizione. Una sequenza libera come il pensiero, dove la logica è quella del cuore, non della mente. Il Colosseo incontra una danzatrice in volo. L’Altare della Patria dialoga con un volto anonimo e bellissimo. La cripta dei Cappuccini si intreccia con la sensualità fugace di un corpo in movimento. Watson rifiuta le gerarchie. Celebrità e sconosciuti convivono, raccontando un’unica, grande narrazione: Roma è la sua gente, non solo le sue pietre.
Una Roma dai mille nomi
E che nomi. Paolo Sorrentino, Valeria Golino, Pierfrancesco Favino, Isabella Ferrari, Toni Servillo, Roberto Bolle… E poi l’arte più giovane, i volti nuovi: Benedetta Porcaroli, Saul Nanni. Non solo cinema: tra gli scatti anche il Cardinale Tomasi, il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, il talento scultoreo di Giuseppe Ducrot, la forza poetica di Pietro Ruffo. È un ritratto corale che sfuma i confini tra sacro e profano, tra icona e passante.
Il codice visivo di Watson
Albert Watson non è un semplice fotografo. È un alchimista della luce, un visionario che ha saputo raccontare icone e leggende — da Hitchcock a Steve Jobs, da Kate Moss a Tutankhamon — con uno stile capace di fondere moda, arte e narrazione. Roma Codex è il suo sguardo più personale e, forse, il più rischioso: raccontare una città raccontata mille volte senza cadere nella trappola del déjà-vu. E ci riesce. Perché Roma, vista da Watson, è un enigma senza soluzione. È un luogo che non finisce mai di mostrarsi. Non basta osservarla: bisogna sentirla. Bisogna aspettarla.
La mostra come esperienza, non come esposizione
Roma Codex non è una semplice mostra. È un’esperienza che si attraversa, si annusa, si ascolta. Nelle sale del Palazzo delle Esposizioni si cammina tra le immagini come dentro un sogno lucido: la città si decompone e si ricompone, si specchia nei volti di chi la abita, si nasconde dietro i suoi simboli per poi esplodere in un dettaglio inatteso. È un viaggio. Senza itinerario. Proprio come quello di Albert Watson.
Roma, rivelata. Ma mai del tutto.
Se credevate di conoscere Roma, Roma Codex vi smentirà. Se pensavate che non avesse più nulla da dire, preparatevi ad ascoltarla di nuovo. Con lo sguardo di chi sa aspettare. Con l’occhio di chi sa sorprendersi. Con il cuore aperto a una bellezza che non chiede permesso. Roma non si lascia conquistare. Ma in questa mostra, per un istante, si lascia guardare. E ci fa il dono più raro: si mostra autentica. E viva.
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Albert Watson Roma Codex: la magia inattesa di una città che non si fa prendere per mano
Tempo stimato per la lettura: 11 minuti
C’è qualcosa di elettrico nell’aria. Non è solo primavera avanzata, non è solo il profumo dei tigli lungo il Tevere. È Roma che si lascia guardare — e finalmente si racconta. Dal 29 maggio al 3 agosto 2025, il Palazzo delle Esposizioni apre le sue sale a Roma Codex, la più imponente mostra mai dedicata in Italia ad Albert Watson, maestro assoluto dell’obiettivo, narratore visivo dal talento inquieto e dalla visione obliqua.
Un progetto ambizioso, promosso dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, che scuote le fondamenta del nostro immaginario collettivo sulla città eterna. A curarla è Clara Tosi Pamphili, con quella sensibilità che riesce a trasformare ogni fotografia in una parola non detta.
Non il solito postcard dream
Dimenticate la cartolina. Albert Watson non si è accontentato di “fotografare Roma”. L’ha vissuta, sfiorata, attraversata. Senza un piano, senza una mappa. L’ha inseguita nei vicoli alle prime luci dell’alba, l’ha sorpresa nei club sotterranei, nei volti stanchi di artisti a fine giornata, tra le quinte silenziose di Cinecittà e i caffè che resistono alle mode.
«Ho fotografato in modo istintivo», racconta Watson. E quell’istinto è diventato codice. Roma Codex, appunto: un atlante visivo che scompone e ricompone Roma secondo nuove coordinate. La Roma che scivola tra l’oro antico delle sue pietre e il brivido delle sue notti più vive.
Un atlante umano e urbano
Duecento scatti, in bianco e nero e a colori, molti in grande formato. Nessuna cronologia, nessun tema. Solo intuizione. Una sequenza libera come il pensiero, dove la logica è quella del cuore, non della mente. Il Colosseo incontra una danzatrice in volo. L’Altare della Patria dialoga con un volto anonimo e bellissimo. La cripta dei Cappuccini si intreccia con la sensualità fugace di un corpo in movimento. Watson rifiuta le gerarchie. Celebrità e sconosciuti convivono, raccontando un’unica, grande narrazione: Roma è la sua gente, non solo le sue pietre.
Una Roma dai mille nomi
E che nomi. Paolo Sorrentino, Valeria Golino, Pierfrancesco Favino, Isabella Ferrari, Toni Servillo, Roberto Bolle… E poi l’arte più giovane, i volti nuovi: Benedetta Porcaroli, Saul Nanni. Non solo cinema: tra gli scatti anche il Cardinale Tomasi, il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, il talento scultoreo di Giuseppe Ducrot, la forza poetica di Pietro Ruffo. È un ritratto corale che sfuma i confini tra sacro e profano, tra icona e passante.
Il codice visivo di Watson
Albert Watson non è un semplice fotografo. È un alchimista della luce, un visionario che ha saputo raccontare icone e leggende — da Hitchcock a Steve Jobs, da Kate Moss a Tutankhamon — con uno stile capace di fondere moda, arte e narrazione. Roma Codex è il suo sguardo più personale e, forse, il più rischioso: raccontare una città raccontata mille volte senza cadere nella trappola del déjà-vu. E ci riesce. Perché Roma, vista da Watson, è un enigma senza soluzione. È un luogo che non finisce mai di mostrarsi. Non basta osservarla: bisogna sentirla. Bisogna aspettarla.
La mostra come esperienza, non come esposizione
Roma Codex non è una semplice mostra. È un’esperienza che si attraversa, si annusa, si ascolta. Nelle sale del Palazzo delle Esposizioni si cammina tra le immagini come dentro un sogno lucido: la città si decompone e si ricompone, si specchia nei volti di chi la abita, si nasconde dietro i suoi simboli per poi esplodere in un dettaglio inatteso. È un viaggio. Senza itinerario. Proprio come quello di Albert Watson.
Roma, rivelata. Ma mai del tutto.
Se credevate di conoscere Roma, Roma Codex vi smentirà. Se pensavate che non avesse più nulla da dire, preparatevi ad ascoltarla di nuovo. Con lo sguardo di chi sa aspettare. Con l’occhio di chi sa sorprendersi. Con il cuore aperto a una bellezza che non chiede permesso. Roma non si lascia conquistare. Ma in questa mostra, per un istante, si lascia guardare. E ci fa il dono più raro: si mostra autentica. E viva.
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