Niente di nuovo sotto il sole. Carole Benzaken al Museo di Tessé: la pittura come esperienza del tempo

Tempo stimato per la lettura: 9,3 minuti
Niente di nuovo sotto il Sole. La celebre massima dell’Ecclesiaste — nihil novum sub sole — è tanto antica quanto disturbante. Come a dire: tutto si ripete, tutto è vanità. Eppure, nella mostra in corso al Museo di Tessé di Le Mans (dal 25 settembre 2025 al 18 gennaio 2026), Rien de nouveau sous le soleil di Carole Benzaken paradossalmente smentisce e afferma l’antico fatalismo. Con una pratica pittorica che si muove tra immagine e assenza, luce e sparizione, l’artista costruisce un universo in cui ogni opera è un nuovo punto di partenza, di un ciclio già iniziato.
Nel cuore di questa mostra temporanea e gratuita, la pittura si fa tempo, memoria, vibrazione. Prendendo come punto di partenza la celebre Vanitas di Philippe de Champaigne, custodita nella collezione del museo, Benzaken costruisce un dialogo potente tra passato e presente, in una narrazione visiva che frantuma l’uniformità del quotidiano.
«È nel flou che si nascondono le verità più lucide», sottolinea Marie Ely, curatrice della mostra. Ed è proprio in questa terra di mezzo, tra bagliore e oscurità, che si dispiega il mondo fluido e stratificato dell’artista.
Pittura fino all’esaurimento: i tulipani e la fragilità delle immagini
I tulipani di Carole Benzaken non sono semplici fiori. Sono frammenti di un pensiero sulla visibilità, sulla fragilità delle immagini. Negli anni ’90, colpita dall’estetica impersonale dei cataloghi di vendita di fiori, Benzaken sceglie il tulipano come soggetto ossessivo. Lo isola, lo ingrandisce, lo satura di colore. Ma non è mai solo un fiore. È un pensiero visivo sull’obsolescenza dell’immagine, un memento mori contemporaneo, un’icona fragile nella velocità del consumo.
Ogni tela è un corpo a corpo con la pittura. Non decorazione, ma resistenza. Il tulipano brucia, vive poco, e proprio in questa fugacità trova senso il gesto dell’artista: dipingere fino all’esaurimento.
In questa sala, è presente l’opera inedita New Old Self Portrait, in cui Carole Benzaken abbandona i suoi consueti colori sgargianti per abbracciare un intenso bianco e nero, creando un forte contrasto con la sua produzione precedente. Questa scelta stilistica segna una riflessione più intima e introspettiva sull’identità, dove l’assenza di colore diventa linguaggio di sottrazione, memoria e silenzio.
Rallentare la velocità: viaggi, pause, e la grammatica dell’urgenza
In un’epoca che corre senza tregua, dove lo sguardo scivola da uno schermo all’altro, Carole Benzaken invita a rallentare. I suoi paesaggi, urbani o naturali, sono attraversati da un movimento trattenuto, quasi silenzioso. Questi paesaggi sono tratti da video girati durante i suoi viaggio, in Africa o negli Stati Uniti. Ma sulla tela tutto si sospende: i fotogrammi diventano pittura, la velocità si trasforma in silenzio, in contemplazione. È proprio rallentando il tempo, “mettendo in pausa” il flusso visivo, che l’artista restituisce densità agli istanti fuggevoli. Le sue opere ci chiedono di fermarci, di guardare, di ascoltare il tempo che si deposita sulle cose.
Durante il suo lungo soggiorno a Los Angeles (1997-2004), l’artista sviluppa quella che definisce “una grammatica dell’urgenza”. Ma è proprio rallentando, sottraendosi al flusso, che le sue immagini acquisiscono densità. Come un trittico, le tre tele Greffes (Trapianti), in particolare, riflettono questo tema nella sala dedicata a Rallentare la velocità: come paesaggi visti dal finestrino di un treno, attraversati da fasce verticali che evocano pali della luce, riflessi, cornici. In questi lavori esplora il concetto di innesto visivo e culturale attraverso immagini ibride che fondono pittura, fotografia e tecnologia digitale.
La vanità come chiaroscuro. Dal tulipano alla Bibbia: visioni retroilluminate
Il punto di svolta arriva nel 2006, quando Benzaken scopre la Vanitas di Philippe de Champaigne nella collezione del Museo di Tessé. L’immagine si fissa nella sua mente. Anni dopo, durante un vagabondaggio notturno in macchina a Los Angeles, una targa d’auto — 724 — la colpisce. Cerca il numero nella Bibbia: Ecclesiaste 7:24. “Tutto è vanità.” La sincronicità è folgorante.
Nasce così la serie Ecclesiaste 7:24, opere retroilluminate dove forme naturali e tracce visive si sovrappongono in un gioco di chiaroscuro metafisico. Non c’è giudizio morale nella vanità: c’è contemplazione. Alberi, ombre, forme fluttuanti raccontano il tempo come materia, l’impermanenza come verità: tutto suggerisce una riflessione sul ciclo della vita, sulla caducità, sulla necessità di accogliere l’impermanenza come parte essenziale del vivere.
Una pittura che scava. La superficie come luogo del profondo
Calore Benzaken non mama parlare di “serie” per i suoi lavori, preferisce “cantieri”: le opere sono processi aperti, che possono rimanere incompiuti o essere ripresi a distanza di anni. Dipingere è come scavare, si sente un’archeologa. Ma, come osserva la curatrice Marie Ely, è proprio scavando nel tempo e attraverso la materia che Benzaken crea il nuovo. Un’archeologia visiva del possibile.
Tra realtà e astrazione. Candide, i rulli e l’arte come narrazione fluida
Il lavoro di Carole Benzaken è attraversato da una tensione costante tra figurazione e astrazione. In mostra, questa dualità si esprime pienamente attraverso due opere monumentali: Le Rouleau à peintures e Candide. Due rotoli lunghissimi — oltre cento metri ciascuno — che si snodano come narrazioni visive parallele. Lungi dall’essere semplici installazioni, sono veri e propri paesaggi narrativi. Lunghi oltre cento metri ciascuno, si srotolano come frammenti di memoria.
Le Rouleau à peintures di Carole Benzaken è una pellicola infinita d’immagini che scorrono come pensieri su nastro, tra graffiti urbani e visioni intime. Un viaggio visivo pop e poetico, dove la pittura si srotola come un beat visivo senza pausa. In questa pellicola dipinta della memeoria, l’ultimo è soggetto è il team del museo, che l’artista definisce straordianrio, con cui ha realizzato quest’imprtante esposizione.
Candide, disegnato su carta da lucido retroilluminata, accompagna il pubblico da una sala all’altra come un sottotitolo poetico. Le immagini in bianco e nero ricordano i dorsi dipinti dei dittici rinascimentali, evocando simboli, enigmi, identità.
Il piccolo formato obbliga alla miniatura, alla concentrazione dello sguardo. «Essere piccoli come un granello di sabbia davanti al mare», dice l’artista. Una riflessione sulla dimensione dell’uomo, costantemente oscillante tra il visibile e l’invisibile. Queste immagini miniaturizzate convivono con i grandi paesaggi pittorici in un contrasto che disorienta e affascina.
La pittura è pelle. Stratificazione, graffi, trasparenze La pittura come corpo a corpo
Carole Benzaken dipinge con tutto il corpo. Lavora al suolo, stratifica, graffia, bagna, scompone. Le sue superfici sono vive, inquiete, fatte di strati successivi che rivelano e nascondono al tempo stesso. La pittura di Benzaken è fisica. Lavora al suolo, graffia, bagna, stratifica. Nei suoi lavori più recenti — Skin Screen, le opere su vetro, Au réveil il était midi — la materia pittorica diventa pelle: fragile, viva, mutevole.
Ogni immagine è un’apparizione. Non è mai certo se si tratti di un paesaggio, un volto, una silhouette. Tutto è in transito, tutto è vibrazione. È una pittura che non rassicura ma interroga, che non rappresenta ma suggerisce. Un’arte dell’incompiuto, del “non finito”.
La natura come metronomo: stagioni, cicli, radici
Nella poetica di Benzaken, la natura non è sfondo, ma come metafora del tempo. I cicli biologici, la crescita, il decadimento, la rinascita: sono questi i ritmi che scandiscono la sua pittura.
L’albero, in particolare, è un motivo ricorrente. È testimone silenzioso, simbolo di resistenza e di memoria. Le sue radici affondano nel dolore — come nei lavori ispirati alla visita ad Auschwitz nel 2010 — ma anche nella speranza. L’artista ci invita a guardare la natura non come un paesaggio da contemplare, ma come uno specchio in cui leggere il nostro passaggio nel mondo.
« La pittura è ciò che resiste. Ciò che resta quando tutto scompare. » – Carole Benzaken
La ciclicità della natura diventa forma: stagioni, ritorni, metamorfosi. Il percorso della mostra, senza un inizio prestabilito, riflette questa struttura. Il visitatore può scegliere da dove iniziare — a destra o a sinistra dello scalone monumentale — in una circolarità che rispecchia il ciclo vitale. Perché, davvero, non c’è niente di nuovo sotto il Sole.
Il presente come vibrazione ottica
Nel lavoro di Benzaken, ogni opera è una mappa del presente: un presente fragile, in continuo mutamento. I suoi quadri sono fatti di fratture, sovrapposizioni, vibrazioni ottiche. Le forme si scontrano e poi si fondono, le linee si spezzano, le superfici pulsano. Il risultato è una pittura che vive nel tempo, che respira, che cambia a seconda di come la guardiamo. Un’arte che non rassicura, ma interroga. Che non mostra, ma suggerisce. E che, nel farlo, ci offre l’esperienza più rara e necessaria: quella del qui e ora.
Benzaken lavora per stratificazioni: sovrappone, cancella, lascia riaffiorare. Le immagini si urtano, si fratturano, poi si ricompongono. L’incidente è parte integrante del processo; l’errore non è deviazione, ma possibilità — varco verso territori ancora inesplorati. Il presente è instabile, fragile, scorre come fotogrammi disordinati, simili ai ricordi che sedimentano nel tempo.
Un catalogo come mise en papier. La mostra come esperienza circolare
Il catalogo della mostra non è un semplice supporto editoriale: è la trasposizione cartacea di un’esperienza immersiva. Una mise en papier, come la definisce l’artista. Non segue un percorso cronologico, ma tematico, e riflette la struttura della mostra stessa: aperta, circolare, ciclica.
Biografia essenziale
Nata a Grenoble nel 1964, Carole Benzaken è una delle figure più libere e sperimentali dell’arte contemporanea francese. Formata all’École des Beaux-Arts di Parigi, ha vissuto a lungo a Los Angeles. Ha vinto il Prix Marcel Duchamp nel 2004, ed è stata esposta al Centre Pompidou, al MoMA di New York, alla Royal Academy di Londra.
Il suo lavoro attraversa pittura, video, disegno, installazione. Oggi insegna pittura all’École Nationale Supérieure d’Art di Paris-Cergy e lavora in uno studio immerso nella campagna della Mayenne.
Il museo che accoglie il contemporaneo. Tradizione e visione: Tessé si reinventa
Con la mostra Rien de nouveau sous le soleil, il Museo di Tessé, diretto da Manon Six, ribadisce la sua vocazione contemporanea: non solo custode del passato, ma spazio vivo di dialogo e sperimentazione. Accogliere un’artista come Carole Benzaken — radicale, ibrida, profondamente attuale — significa affermare che anche un museo storico può essere luogo di apertura e ricerca.
La direzione è chiara e coerente: rendere il museo accessibile, inclusivo, gratuito. Tutte le mostre sono gratuite e arricchite da esperienze sensoriali, percorsi in Braille, video in lingua dei segni e attività di benessere. In un’epoca frammentata, il Museo di Tessé offre uno spazio di ascolto e presenza, dove l’arte si vive, si condivide, si rinnova.
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Niente di nuovo sotto il sole. Carole Benzaken al Museo di Tessé: la pittura come esperienza del tempo
Tempo stimato per la lettura: 28 minuti
Niente di nuovo sotto il Sole. La celebre massima dell’Ecclesiaste — nihil novum sub sole — è tanto antica quanto disturbante. Come a dire: tutto si ripete, tutto è vanità. Eppure, nella mostra in corso al Museo di Tessé di Le Mans (dal 25 settembre 2025 al 18 gennaio 2026), Rien de nouveau sous le soleil di Carole Benzaken paradossalmente smentisce e afferma l’antico fatalismo. Con una pratica pittorica che si muove tra immagine e assenza, luce e sparizione, l’artista costruisce un universo in cui ogni opera è un nuovo punto di partenza, di un ciclio già iniziato.
Nel cuore di questa mostra temporanea e gratuita, la pittura si fa tempo, memoria, vibrazione. Prendendo come punto di partenza la celebre Vanitas di Philippe de Champaigne, custodita nella collezione del museo, Benzaken costruisce un dialogo potente tra passato e presente, in una narrazione visiva che frantuma l’uniformità del quotidiano.
«È nel flou che si nascondono le verità più lucide», sottolinea Marie Ely, curatrice della mostra. Ed è proprio in questa terra di mezzo, tra bagliore e oscurità, che si dispiega il mondo fluido e stratificato dell’artista.
Pittura fino all’esaurimento: i tulipani e la fragilità delle immagini
I tulipani di Carole Benzaken non sono semplici fiori. Sono frammenti di un pensiero sulla visibilità, sulla fragilità delle immagini. Negli anni ’90, colpita dall’estetica impersonale dei cataloghi di vendita di fiori, Benzaken sceglie il tulipano come soggetto ossessivo. Lo isola, lo ingrandisce, lo satura di colore. Ma non è mai solo un fiore. È un pensiero visivo sull’obsolescenza dell’immagine, un memento mori contemporaneo, un’icona fragile nella velocità del consumo.
Ogni tela è un corpo a corpo con la pittura. Non decorazione, ma resistenza. Il tulipano brucia, vive poco, e proprio in questa fugacità trova senso il gesto dell’artista: dipingere fino all’esaurimento.
In questa sala, è presente l’opera inedita New Old Self Portrait, in cui Carole Benzaken abbandona i suoi consueti colori sgargianti per abbracciare un intenso bianco e nero, creando un forte contrasto con la sua produzione precedente. Questa scelta stilistica segna una riflessione più intima e introspettiva sull’identità, dove l’assenza di colore diventa linguaggio di sottrazione, memoria e silenzio.
Rallentare la velocità: viaggi, pause, e la grammatica dell’urgenza
In un’epoca che corre senza tregua, dove lo sguardo scivola da uno schermo all’altro, Carole Benzaken invita a rallentare. I suoi paesaggi, urbani o naturali, sono attraversati da un movimento trattenuto, quasi silenzioso. Questi paesaggi sono tratti da video girati durante i suoi viaggio, in Africa o negli Stati Uniti. Ma sulla tela tutto si sospende: i fotogrammi diventano pittura, la velocità si trasforma in silenzio, in contemplazione. È proprio rallentando il tempo, “mettendo in pausa” il flusso visivo, che l’artista restituisce densità agli istanti fuggevoli. Le sue opere ci chiedono di fermarci, di guardare, di ascoltare il tempo che si deposita sulle cose.
Durante il suo lungo soggiorno a Los Angeles (1997-2004), l’artista sviluppa quella che definisce “una grammatica dell’urgenza”. Ma è proprio rallentando, sottraendosi al flusso, che le sue immagini acquisiscono densità. Come un trittico, le tre tele Greffes (Trapianti), in particolare, riflettono questo tema nella sala dedicata a Rallentare la velocità: come paesaggi visti dal finestrino di un treno, attraversati da fasce verticali che evocano pali della luce, riflessi, cornici. In questi lavori esplora il concetto di innesto visivo e culturale attraverso immagini ibride che fondono pittura, fotografia e tecnologia digitale.
La vanità come chiaroscuro. Dal tulipano alla Bibbia: visioni retroilluminate
Il punto di svolta arriva nel 2006, quando Benzaken scopre la Vanitas di Philippe de Champaigne nella collezione del Museo di Tessé. L’immagine si fissa nella sua mente. Anni dopo, durante un vagabondaggio notturno in macchina a Los Angeles, una targa d’auto — 724 — la colpisce. Cerca il numero nella Bibbia: Ecclesiaste 7:24. “Tutto è vanità.” La sincronicità è folgorante.
Nasce così la serie Ecclesiaste 7:24, opere retroilluminate dove forme naturali e tracce visive si sovrappongono in un gioco di chiaroscuro metafisico. Non c’è giudizio morale nella vanità: c’è contemplazione. Alberi, ombre, forme fluttuanti raccontano il tempo come materia, l’impermanenza come verità: tutto suggerisce una riflessione sul ciclo della vita, sulla caducità, sulla necessità di accogliere l’impermanenza come parte essenziale del vivere.
Una pittura che scava. La superficie come luogo del profondo
Calore Benzaken non mama parlare di “serie” per i suoi lavori, preferisce “cantieri”: le opere sono processi aperti, che possono rimanere incompiuti o essere ripresi a distanza di anni. Dipingere è come scavare, si sente un’archeologa. Ma, come osserva la curatrice Marie Ely, è proprio scavando nel tempo e attraverso la materia che Benzaken crea il nuovo. Un’archeologia visiva del possibile.
Tra realtà e astrazione. Candide, i rulli e l’arte come narrazione fluida
Il lavoro di Carole Benzaken è attraversato da una tensione costante tra figurazione e astrazione. In mostra, questa dualità si esprime pienamente attraverso due opere monumentali: Le Rouleau à peintures e Candide. Due rotoli lunghissimi — oltre cento metri ciascuno — che si snodano come narrazioni visive parallele. Lungi dall’essere semplici installazioni, sono veri e propri paesaggi narrativi. Lunghi oltre cento metri ciascuno, si srotolano come frammenti di memoria.
Le Rouleau à peintures di Carole Benzaken è una pellicola infinita d’immagini che scorrono come pensieri su nastro, tra graffiti urbani e visioni intime. Un viaggio visivo pop e poetico, dove la pittura si srotola come un beat visivo senza pausa. In questa pellicola dipinta della memeoria, l’ultimo è soggetto è il team del museo, che l’artista definisce straordianrio, con cui ha realizzato quest’imprtante esposizione.
Candide, disegnato su carta da lucido retroilluminata, accompagna il pubblico da una sala all’altra come un sottotitolo poetico. Le immagini in bianco e nero ricordano i dorsi dipinti dei dittici rinascimentali, evocando simboli, enigmi, identità.
Il piccolo formato obbliga alla miniatura, alla concentrazione dello sguardo. «Essere piccoli come un granello di sabbia davanti al mare», dice l’artista. Una riflessione sulla dimensione dell’uomo, costantemente oscillante tra il visibile e l’invisibile. Queste immagini miniaturizzate convivono con i grandi paesaggi pittorici in un contrasto che disorienta e affascina.
La pittura è pelle. Stratificazione, graffi, trasparenze La pittura come corpo a corpo
Carole Benzaken dipinge con tutto il corpo. Lavora al suolo, stratifica, graffia, bagna, scompone. Le sue superfici sono vive, inquiete, fatte di strati successivi che rivelano e nascondono al tempo stesso. La pittura di Benzaken è fisica. Lavora al suolo, graffia, bagna, stratifica. Nei suoi lavori più recenti — Skin Screen, le opere su vetro, Au réveil il était midi — la materia pittorica diventa pelle: fragile, viva, mutevole.
Ogni immagine è un’apparizione. Non è mai certo se si tratti di un paesaggio, un volto, una silhouette. Tutto è in transito, tutto è vibrazione. È una pittura che non rassicura ma interroga, che non rappresenta ma suggerisce. Un’arte dell’incompiuto, del “non finito”.
La natura come metronomo: stagioni, cicli, radici
Nella poetica di Benzaken, la natura non è sfondo, ma come metafora del tempo. I cicli biologici, la crescita, il decadimento, la rinascita: sono questi i ritmi che scandiscono la sua pittura.
L’albero, in particolare, è un motivo ricorrente. È testimone silenzioso, simbolo di resistenza e di memoria. Le sue radici affondano nel dolore — come nei lavori ispirati alla visita ad Auschwitz nel 2010 — ma anche nella speranza. L’artista ci invita a guardare la natura non come un paesaggio da contemplare, ma come uno specchio in cui leggere il nostro passaggio nel mondo.
« La pittura è ciò che resiste. Ciò che resta quando tutto scompare. » – Carole Benzaken
La ciclicità della natura diventa forma: stagioni, ritorni, metamorfosi. Il percorso della mostra, senza un inizio prestabilito, riflette questa struttura. Il visitatore può scegliere da dove iniziare — a destra o a sinistra dello scalone monumentale — in una circolarità che rispecchia il ciclo vitale. Perché, davvero, non c’è niente di nuovo sotto il Sole.
Il presente come vibrazione ottica
Nel lavoro di Benzaken, ogni opera è una mappa del presente: un presente fragile, in continuo mutamento. I suoi quadri sono fatti di fratture, sovrapposizioni, vibrazioni ottiche. Le forme si scontrano e poi si fondono, le linee si spezzano, le superfici pulsano. Il risultato è una pittura che vive nel tempo, che respira, che cambia a seconda di come la guardiamo. Un’arte che non rassicura, ma interroga. Che non mostra, ma suggerisce. E che, nel farlo, ci offre l’esperienza più rara e necessaria: quella del qui e ora.
Benzaken lavora per stratificazioni: sovrappone, cancella, lascia riaffiorare. Le immagini si urtano, si fratturano, poi si ricompongono. L’incidente è parte integrante del processo; l’errore non è deviazione, ma possibilità — varco verso territori ancora inesplorati. Il presente è instabile, fragile, scorre come fotogrammi disordinati, simili ai ricordi che sedimentano nel tempo.
Un catalogo come mise en papier. La mostra come esperienza circolare
Il catalogo della mostra non è un semplice supporto editoriale: è la trasposizione cartacea di un’esperienza immersiva. Una mise en papier, come la definisce l’artista. Non segue un percorso cronologico, ma tematico, e riflette la struttura della mostra stessa: aperta, circolare, ciclica.
Biografia essenziale
Nata a Grenoble nel 1964, Carole Benzaken è una delle figure più libere e sperimentali dell’arte contemporanea francese. Formata all’École des Beaux-Arts di Parigi, ha vissuto a lungo a Los Angeles. Ha vinto il Prix Marcel Duchamp nel 2004, ed è stata esposta al Centre Pompidou, al MoMA di New York, alla Royal Academy di Londra.
Il suo lavoro attraversa pittura, video, disegno, installazione. Oggi insegna pittura all’École Nationale Supérieure d’Art di Paris-Cergy e lavora in uno studio immerso nella campagna della Mayenne.
Il museo che accoglie il contemporaneo. Tradizione e visione: Tessé si reinventa
Con la mostra Rien de nouveau sous le soleil, il Museo di Tessé, diretto da Manon Six, ribadisce la sua vocazione contemporanea: non solo custode del passato, ma spazio vivo di dialogo e sperimentazione. Accogliere un’artista come Carole Benzaken — radicale, ibrida, profondamente attuale — significa affermare che anche un museo storico può essere luogo di apertura e ricerca.
La direzione è chiara e coerente: rendere il museo accessibile, inclusivo, gratuito. Tutte le mostre sono gratuite e arricchite da esperienze sensoriali, percorsi in Braille, video in lingua dei segni e attività di benessere. In un’epoca frammentata, il Museo di Tessé offre uno spazio di ascolto e presenza, dove l’arte si vive, si condivide, si rinnova.
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