Orson Welles: il genio inafferrabile che ha cambiato il cinema per sempre

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 4 Ottobre 2025

Tempo stimato per la lettura: 8,4 minuti

Cinquant’anni dopo la sua scomparsa, Orson Welles rimane un gigante indiscusso della settima arte, un enigma che sfida ogni tentativo di definizione. My Name is Orson Welles, l’esposizione della Cinémathèque Française che lo celebra dall’ 8 ottobre 2025 al 11 gennaio 2026, ci apre le porte di un mondo straordinario: più di 400 opere tra fotografie, disegni, filmati e documenti ci raccontano la storia di un artista che ha riscritto le regole del cinema e dello spettacolo.

Il genio di Welles tra teatro e frequenze

Orson Welles muove i primi passi nel mondo dello spettacolo a teatro. A soli 23 anni arriva a New York, dove mette in scena in modo innovativo grandi classici come Faust, Macbeth e Giulio Cesare, curandone regia, produzione e interpretazione. Ben presto si interessa anche alla radio, un mezzo allora emergente. Il 31 ottobre 1938 realizza una celebre versione radiofonica de La guerra dei mondi di H. G. Wells, talmente realistica da scatenare il panico tra molti ascoltatori, convinti di assistere a una vera invasione aliena.

Una sezione della mostra, dedicata a questa trasmissione radiofonica, ne ripercorre l’impatto attraverso documenti d’archivio e fotografie. Viene inoltre raccontata la risonanza che l’evento ha avuto nella cultura popolare, dai tributi cinematografici come Radio Days di Woody Allen (1987) fino agli omaggi ironici dei Simpsons.

Un artista totale: tra cinema, teatro e scultura

Welles non è solo il creatore di Citizen Kane (Quarto potere), ma un artista a tutto tondo che si muove con disinvoltura tra media e linguaggi. Fotografie di maestri come Irving Penn e Cecil Beaton ci rivelano il volto di un uomo poliedrico. Le sue sculture, i disegni, i film inediti mostrano la profondità di una mente che pensa con le mani e con lo sguardo. Welles è un intellettuale e un mago dello spettacolo, capace di tagliare in due Rita Hayworth o Marlene Dietrich pur di creare meraviglia.

Citizen Kane è il fulcro indiscusso della sua eredità, ma anche la sua condanna. È il capolavoro che ha rivoluzionato il cinema, il film che rimane un enigma, un eterno interrogativo sulla verità e sulla memoria. Il mistero di “Rosebud” è solo la punta di un iceberg narrativo che destabilizza lo spettatore, costringendolo a interrogarsi su cosa sia davvero il potere, la solitudine, la fragilità umana. Un film che continua a illuminare nuove generazioni con la sua forza sovversiva e la sua capacità di smontare le illusioni del reale.

Orson Welles e il disincanto hollywoodiano

Dopo il successo di Quarto potere, La magnificenza degli Amberson (1942) segna l’inizio del conflitto tra Orson Welles e Hollywood. Privato del controllo sul montaggio, il regista vede la sua visione compromessa dalle logiche degli studios, avviando un distacco sempre più profondo dall’industria.

Cinque anni dopo, con La signora di Shanghai (1947), Welles tenta un’ultima riconciliazione. Accanto a Rita Hayworth, costruisce un film enigmatico e visivamente audace. Il celebre finale nella sala degli specchi, ispirato al cinema espressionista tedesco, diventa simbolo della frammentazione della sua identità artistica — riflessa, moltiplicata, ma mai del tutto afferrabile.

All’interno del percorso espositivo, il visitatore è invitato a entrare in questo universo visivo attraverso un’installazione immersiva fatta di specchi e proiezioni, in dialogo con schizzi preparatori e una maquette originale del Gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920). Un omaggio alla cultura visiva europea che ha profondamente influenzato Welles, ma anche un’indicazione chiara: la sua arte, troppo visionaria e indipendente, non poteva sopravvivere alle regole di Hollywood.

Welles in Europa: l’arte come resistenza

Esiliato creativo in Europa, Orson Welles si reinventa artista totale. Mentre recita nei film altrui per finanziare i propri progetti, continua a inseguire con ostinazione una visione personale: adattamenti ambiziosi di Shakespeare, Kafka e Cervantes, spesso realizzati in condizioni precarie ma con un’immaginazione inesauribile.

In questo periodo è più prolifico che mai: disegna, scrive, dirige, collabora con importanti musicisti, scenografi e interpreti. Paradossalmente, il successo planetario del suo ruolo in Il terzo uomo (Carol Reed, 1949) lo consacra al grande pubblico, ma finisce per oscurare le sue opere più personali.

Una sezione densamente articolata — tra dispositivi tecnici, archivi, disegni, vinili, sculture e libri — restituisce la complessità della sua produzione europea, tanto ricca quanto segnata da continue difficoltà di realizzazione. Un po’ delusi dalla mancanza di immagini o documenti su La ricotta (1963) di Pier Paolo Pasolini, uno degli episodi del film ROGOPAG, in cui Welles interpreta il ruolo di un regista.

Oltre Kane: l’eredità di un ribelle

Dopo il successo e il peso di Citizen Kane, Welles non si ferma. Reinventa se stesso e il cinema europeo con opere audaci come Othello, sfidando ogni convenzione. Le sue collaborazioni con Shakespeare, Kafka, Cervantès e Montaigne lo mostrano come un intellettuale raffinato, un uomo che ha portato la letteratura al cuore dello schermo, ma sempre con la voglia di sorprendere e intrattenere.

Welles è stato anche un editorialista politico, un uomo di sinistra che ha vissuto il trionfo del reaganismo e la disillusione della società americana. Il suo cinema è uno specchio critico della ploutocrazia e della cultura del potere. La sua vita, come i suoi film, raccontano la lotta di un artista contro il conformismo e l’oblio, un uomo che si è sempre opposto a chi voleva ridurlo a icona fissa o a mito infranto.

L’autore assoluto: il cinema come pensiero

Con Welles, nasce l’idea moderna dell’autore, il regista come artefice unico e visionario della propria opera. La sua influenza si estende da Hitchcock ad Akerman, da Godard a una nuova generazione di cineasti. Anche se le innovazioni di Citizen Kane sono oggi spesso date per scontate, la sua capacità di creare un cinema pensante e destabilizzante resta un modello insuperato.

Welles non fa solo film, fa pensiero. Un pensiero che si riflette nella complessità delle sue narrazioni, nella profondità dei suoi personaggi, nella rivoluzione dello sguardo cinematografico. Il cinema per lui è un’arte viva, che deve scuotere, provocare, mettere in crisi le certezze dello spettatore.

Figure di stile: l’universo Welles

Tre sale di proiezione, ciascuna con loop audiovisivi di 10-15 minuti e posti per una decina di visitatori, offrono un’immersione nella scrittura cinematografica radicale e originale di Orson Welles.

Attraverso un montaggio che mescola opere di epoche diverse, completate e incompiute, fiction e documentari, queste sale mostrano l’unicità del suo linguaggio filmico. L’accesso avviene attraversando un’immagine fissa gigante, segno distintivo di queste “micro-sale” distribuite lungo tutto il percorso espositivo.

L’ultimo atto di Orson Welles: tra illusione e verità

Negli ultimi anni, Orson Welles diventa una presenza familiare nei media, tra pubblicità e talk-show, senza mai abbandonare la sua vena creativa. Mentre lavora a film sperimentali come F for Fake (1973) e The Other Side of the Wind – rimasto incompiuto – coltiva un’opera personale, fuori dalle logiche commerciali.

In mostra, materiali intimi come le cartoline per la figlia si affiancano a spezzoni inediti e contenuti interattivi. Un raggio di luce guida il pubblico alla scoperta di questi frammenti, evocando la passione di Welles per la magia, rappresentata dal suo costume da illusionista.

Una retrospettiva e catalogo

La retrospettiva su Orson Welles, che si svolge dall’8 ottobre al 29 novembre 2025 alla Cinémathèque Française, è all’altezza del gigantismo del suo protagonista. La più esaustiva mai realizzata, offre un’immersione completa nell’opera vasta e prolifica di Welles. Oltre ai suoi lungometraggi imprescindibili, la rassegna include saggi, film incompiuti o mutilati, trailer, spettacoli di magia e una vasta selezione di film in cui Welles recita come attore. Per due mesi, tutta la folle esuberanza di questo demiurgo del cinema si mostra su grande schermo, regalando al pubblico un’esperienza unica e coinvolgente.

Il catalogo My Name is Orson Welles (Éditions de la Table Ronde, 2025) accompagna la mostra alla Cinémathèque française, offrendo saggi, interviste e immagini rare. Un approfondimento essenziale sulla carriera e la poliedricità di Welles, da regista a artista completo. Imperdibile per comprendere l’eredità di un gigante del cinema.

“La camera deve essere al servizio degli attori, non il contrario.”

L’audacia di un ribelle del cinema

Il vero cinema, per Welles, nasce dalla performance, dal talento umano, non dagli artifici tecnici. Ecco perché la sua opera continua a essere una fonte di ispirazione e di emozione autentica, capace di resistere al tempo e alla mercificazione dello spettacolo.

Orson Welles non è mai stato un semplice regista, ma un visionario, un rivoluzionario, un uomo che ha osato cambiare le regole e il modo di raccontare il mondo. Quest’esposizione è un tributo a questa audacia senza compromessi, una celebrazione della sua eredità che, anche oggi, continua a far battere il cuore del cinema.

 

Crediti immagini :

  1. Progetto grafico: La Cinémathèque française / Mélanie Roero
    Foto: Orson Welles, ©1937, George Platt Lynes – Bernard Perlin Papers. Yale Coll. of American Literature, Beinecke Rare Book and Manuscript Library
  2. Acquerello del Dublin Gate Theatre, come mostrato nell’episodio 1 del programma televisivo «Orson Welles’ Sketch Book» della BBC. Orson Welles, aprile 1955.
    Collezione dell’Università del Teatro di Bristol
  3. Orson Welles e Rita Hayworth in La signora di Shanghai (1947)
    © 1948, rinnovato 1975 Columbia Pictures Industries, Inc.
    Tutti i diritti riservati. Per gentile concessione di Columbia Pictures
  4. e 5 Visita mostra © Cristina Biordi

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Published On: 4 Ottobre 2025

About the Author: Cristina Biordi

Tempo stimato per la lettura: 25 minuti

Cinquant’anni dopo la sua scomparsa, Orson Welles rimane un gigante indiscusso della settima arte, un enigma che sfida ogni tentativo di definizione. My Name is Orson Welles, l’esposizione della Cinémathèque Française che lo celebra dall’ 8 ottobre 2025 al 11 gennaio 2026, ci apre le porte di un mondo straordinario: più di 400 opere tra fotografie, disegni, filmati e documenti ci raccontano la storia di un artista che ha riscritto le regole del cinema e dello spettacolo.

Il genio di Welles tra teatro e frequenze

Orson Welles muove i primi passi nel mondo dello spettacolo a teatro. A soli 23 anni arriva a New York, dove mette in scena in modo innovativo grandi classici come Faust, Macbeth e Giulio Cesare, curandone regia, produzione e interpretazione. Ben presto si interessa anche alla radio, un mezzo allora emergente. Il 31 ottobre 1938 realizza una celebre versione radiofonica de La guerra dei mondi di H. G. Wells, talmente realistica da scatenare il panico tra molti ascoltatori, convinti di assistere a una vera invasione aliena.

Una sezione della mostra, dedicata a questa trasmissione radiofonica, ne ripercorre l’impatto attraverso documenti d’archivio e fotografie. Viene inoltre raccontata la risonanza che l’evento ha avuto nella cultura popolare, dai tributi cinematografici come Radio Days di Woody Allen (1987) fino agli omaggi ironici dei Simpsons.

Un artista totale: tra cinema, teatro e scultura

Welles non è solo il creatore di Citizen Kane (Quarto potere), ma un artista a tutto tondo che si muove con disinvoltura tra media e linguaggi. Fotografie di maestri come Irving Penn e Cecil Beaton ci rivelano il volto di un uomo poliedrico. Le sue sculture, i disegni, i film inediti mostrano la profondità di una mente che pensa con le mani e con lo sguardo. Welles è un intellettuale e un mago dello spettacolo, capace di tagliare in due Rita Hayworth o Marlene Dietrich pur di creare meraviglia.

Citizen Kane è il fulcro indiscusso della sua eredità, ma anche la sua condanna. È il capolavoro che ha rivoluzionato il cinema, il film che rimane un enigma, un eterno interrogativo sulla verità e sulla memoria. Il mistero di “Rosebud” è solo la punta di un iceberg narrativo che destabilizza lo spettatore, costringendolo a interrogarsi su cosa sia davvero il potere, la solitudine, la fragilità umana. Un film che continua a illuminare nuove generazioni con la sua forza sovversiva e la sua capacità di smontare le illusioni del reale.

Orson Welles e il disincanto hollywoodiano

Dopo il successo di Quarto potere, La magnificenza degli Amberson (1942) segna l’inizio del conflitto tra Orson Welles e Hollywood. Privato del controllo sul montaggio, il regista vede la sua visione compromessa dalle logiche degli studios, avviando un distacco sempre più profondo dall’industria.

Cinque anni dopo, con La signora di Shanghai (1947), Welles tenta un’ultima riconciliazione. Accanto a Rita Hayworth, costruisce un film enigmatico e visivamente audace. Il celebre finale nella sala degli specchi, ispirato al cinema espressionista tedesco, diventa simbolo della frammentazione della sua identità artistica — riflessa, moltiplicata, ma mai del tutto afferrabile.

All’interno del percorso espositivo, il visitatore è invitato a entrare in questo universo visivo attraverso un’installazione immersiva fatta di specchi e proiezioni, in dialogo con schizzi preparatori e una maquette originale del Gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920). Un omaggio alla cultura visiva europea che ha profondamente influenzato Welles, ma anche un’indicazione chiara: la sua arte, troppo visionaria e indipendente, non poteva sopravvivere alle regole di Hollywood.

Welles in Europa: l’arte come resistenza

Esiliato creativo in Europa, Orson Welles si reinventa artista totale. Mentre recita nei film altrui per finanziare i propri progetti, continua a inseguire con ostinazione una visione personale: adattamenti ambiziosi di Shakespeare, Kafka e Cervantes, spesso realizzati in condizioni precarie ma con un’immaginazione inesauribile.

In questo periodo è più prolifico che mai: disegna, scrive, dirige, collabora con importanti musicisti, scenografi e interpreti. Paradossalmente, il successo planetario del suo ruolo in Il terzo uomo (Carol Reed, 1949) lo consacra al grande pubblico, ma finisce per oscurare le sue opere più personali.

Una sezione densamente articolata — tra dispositivi tecnici, archivi, disegni, vinili, sculture e libri — restituisce la complessità della sua produzione europea, tanto ricca quanto segnata da continue difficoltà di realizzazione. Un po’ delusi dalla mancanza di immagini o documenti su La ricotta (1963) di Pier Paolo Pasolini, uno degli episodi del film ROGOPAG, in cui Welles interpreta il ruolo di un regista.

Oltre Kane: l’eredità di un ribelle

Dopo il successo e il peso di Citizen Kane, Welles non si ferma. Reinventa se stesso e il cinema europeo con opere audaci come Othello, sfidando ogni convenzione. Le sue collaborazioni con Shakespeare, Kafka, Cervantès e Montaigne lo mostrano come un intellettuale raffinato, un uomo che ha portato la letteratura al cuore dello schermo, ma sempre con la voglia di sorprendere e intrattenere.

Welles è stato anche un editorialista politico, un uomo di sinistra che ha vissuto il trionfo del reaganismo e la disillusione della società americana. Il suo cinema è uno specchio critico della ploutocrazia e della cultura del potere. La sua vita, come i suoi film, raccontano la lotta di un artista contro il conformismo e l’oblio, un uomo che si è sempre opposto a chi voleva ridurlo a icona fissa o a mito infranto.

L’autore assoluto: il cinema come pensiero

Con Welles, nasce l’idea moderna dell’autore, il regista come artefice unico e visionario della propria opera. La sua influenza si estende da Hitchcock ad Akerman, da Godard a una nuova generazione di cineasti. Anche se le innovazioni di Citizen Kane sono oggi spesso date per scontate, la sua capacità di creare un cinema pensante e destabilizzante resta un modello insuperato.

Welles non fa solo film, fa pensiero. Un pensiero che si riflette nella complessità delle sue narrazioni, nella profondità dei suoi personaggi, nella rivoluzione dello sguardo cinematografico. Il cinema per lui è un’arte viva, che deve scuotere, provocare, mettere in crisi le certezze dello spettatore.

Figure di stile: l’universo Welles

Tre sale di proiezione, ciascuna con loop audiovisivi di 10-15 minuti e posti per una decina di visitatori, offrono un’immersione nella scrittura cinematografica radicale e originale di Orson Welles.

Attraverso un montaggio che mescola opere di epoche diverse, completate e incompiute, fiction e documentari, queste sale mostrano l’unicità del suo linguaggio filmico. L’accesso avviene attraversando un’immagine fissa gigante, segno distintivo di queste “micro-sale” distribuite lungo tutto il percorso espositivo.

L’ultimo atto di Orson Welles: tra illusione e verità

Negli ultimi anni, Orson Welles diventa una presenza familiare nei media, tra pubblicità e talk-show, senza mai abbandonare la sua vena creativa. Mentre lavora a film sperimentali come F for Fake (1973) e The Other Side of the Wind – rimasto incompiuto – coltiva un’opera personale, fuori dalle logiche commerciali.

In mostra, materiali intimi come le cartoline per la figlia si affiancano a spezzoni inediti e contenuti interattivi. Un raggio di luce guida il pubblico alla scoperta di questi frammenti, evocando la passione di Welles per la magia, rappresentata dal suo costume da illusionista.

Una retrospettiva e catalogo

La retrospettiva su Orson Welles, che si svolge dall’8 ottobre al 29 novembre 2025 alla Cinémathèque Française, è all’altezza del gigantismo del suo protagonista. La più esaustiva mai realizzata, offre un’immersione completa nell’opera vasta e prolifica di Welles. Oltre ai suoi lungometraggi imprescindibili, la rassegna include saggi, film incompiuti o mutilati, trailer, spettacoli di magia e una vasta selezione di film in cui Welles recita come attore. Per due mesi, tutta la folle esuberanza di questo demiurgo del cinema si mostra su grande schermo, regalando al pubblico un’esperienza unica e coinvolgente.

Il catalogo My Name is Orson Welles (Éditions de la Table Ronde, 2025) accompagna la mostra alla Cinémathèque française, offrendo saggi, interviste e immagini rare. Un approfondimento essenziale sulla carriera e la poliedricità di Welles, da regista a artista completo. Imperdibile per comprendere l’eredità di un gigante del cinema.

“La camera deve essere al servizio degli attori, non il contrario.”

L’audacia di un ribelle del cinema

Il vero cinema, per Welles, nasce dalla performance, dal talento umano, non dagli artifici tecnici. Ecco perché la sua opera continua a essere una fonte di ispirazione e di emozione autentica, capace di resistere al tempo e alla mercificazione dello spettacolo.

Orson Welles non è mai stato un semplice regista, ma un visionario, un rivoluzionario, un uomo che ha osato cambiare le regole e il modo di raccontare il mondo. Quest’esposizione è un tributo a questa audacia senza compromessi, una celebrazione della sua eredità che, anche oggi, continua a far battere il cuore del cinema.

 

Crediti immagini :

  1. Progetto grafico: La Cinémathèque française / Mélanie Roero
    Foto: Orson Welles, ©1937, George Platt Lynes – Bernard Perlin Papers. Yale Coll. of American Literature, Beinecke Rare Book and Manuscript Library
  2. Acquerello del Dublin Gate Theatre, come mostrato nell’episodio 1 del programma televisivo «Orson Welles’ Sketch Book» della BBC. Orson Welles, aprile 1955.
    Collezione dell’Università del Teatro di Bristol
  3. Orson Welles e Rita Hayworth in La signora di Shanghai (1947)
    © 1948, rinnovato 1975 Columbia Pictures Industries, Inc.
    Tutti i diritti riservati. Per gentile concessione di Columbia Pictures
  4. e 5 Visita mostra © Cristina Biordi
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