L’arte de non essere voraci: la mostra poetica e politica di Jonathas de Andrade alla Commanderie de Peyrassol

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 12 Luglio 2025

Tempo stimato per la lettura: 4 minuti

Nel cuore del sud della Francia, tra le viti che si arrampicano sulle colline e il silenzio di una natura incontaminata, si staglia un luogo fuori dal tempo: la Commanderie de Peyrassol. Qui, dall’agosto fino al 2 novembre 2025, prende vita L’art de ne pas être vorace, la prima mostra personale in loco dell’artista brasiliano Jonathas de Andrade.

Un titolo che vibra di poesia e inquietudine, tratto da un frammento della scrittrice Clarice Lispector, che diventa sussurro e grido. Un invito a rallentare, a riflettere, a guardare oltre la superficie delle cose.

Quando l’arte incontra la terra

Dietro questa chiamata c’è Philippe Austruy, visionario collezionista e anima pulsante della Commanderie, in collaborazione con la stagione Francia‑Brasile 2025. È lui ad aprire le porte a un artista che nasce dalle maree del Nord-Est brasiliano, e che oggi trasforma la materia in messaggio.

Il palcoscenico è un’ex area industriale di 300 m², convertita nel 2020 da Charles Berthier in uno spazio espositivo austero e magnetico. Un contenitore brutale, ma profondamente evocativo. Cemento e luce. Silenzio e tensione.

Voracità: una lente per guardare il mondo

“Non essere voraci” non è solo una scelta etica, è un’estetica. Un modo di stare nel mondo. Andrade lo fa con opere che toccano, feriscono, abbracciano. Fotografie, video, sculture: tutto ruota attorno a un’idea potente – che il desiderio, se non è contenuto, divora.

In O Peixe (2016) e Nó na garganta (2022), lo spettatore è immerso in una danza ipnotica tra uomini e animali, tra carezze e catture. Una tensione che vibra tra bellezza e brutalità, tra controllo e connessione.

Una natura ferita, ma ancora viva

Il dialogo con il paesaggio non è romantico, ma reale. Fragile. Urgente. Andrade lavora con materiali del luogo: pietre, plastica, resina. Crea un totem scultoreo che sembra emergere dal ventre stesso della terra, contaminata ma resistente.

E poi ci sono loro, i limaçons, le piccole chiocciole raccolte nei dintorni. Simboli di lentezza e sopravvivenza. Presenze silenziose in un ecosistema ormai antropizzato, ma

Brasile profondo, memoria collettiva

Il Nord-Est del Brasile pulsa in ogni opera. In Fome de Resistência (2019) e Exercício Construtivo para uma Guerrilha Sem Terra (2016), Andrade ci restituisce una storia di lotte: quella delle popolazioni indigene, dei contadini senza terra, dei corpi invisibili che resistono all’oblio.

Barricate, rituali, mappe dell’identità. La sua arte diventa archivio vivente, un atlante emotivo del Sud globale.

Clarice Lispector: musa invisibile

A fare da sottofondo, come una nota persistente, c’è la voce di Clarice Lispector. Cresciuta a Recife, come lo stesso Andrade, è lei a offrire le parole chiave: fame, desiderio, limite. Andrade ne fa materia viva.

L’arte si fa allora atto di introspezione, tensione erotica e spirituale. Un modo di abitare il mondo che non chiede il possesso, ma la comprensione.

Fotografie che parlano di noi

Ogni immagine è una soglia. Case diroccate, volti segnati, paesaggi dimenticati. Andrade non documenta: ascolta. E ci costringe a fare lo stesso.

Il suo Brasile non è solo geografico. È emotivo. È il Sud del mondo che vive anche dentro di noi, fatto di silenzi e di lotte, di sogni infranti e di resistenza quotidiana.

Estetica cruda, umanità vibrante

Jonathas de Andrade non abbellisce. Mostra. Senza retorica. Senza sconti. Con una bellezza feroce che accarezza e morde. Le sue opere parlano di lavoro, identità, desiderio. Ma lo fanno in punta di piedi, senza ideologia.

È un artista che crea con la pelle. Che ti guarda negli occhi. Che ti fa domande – e non offre risposte facili.

Dal Brasile al mondo: una voce necessaria

Dalla Biennale di Venezia al New Museum di New York, dalla Power Plant di Toronto al MASP di São Paulo: la voce di Jonathas de Andrade risuona nelle istituzioni più influenti del mondo. Ma qui, a Peyrassol, il tempo sembra dilatarsi.

Nel silenzio assolato del Var, ogni opera trova un’eco nuova. Più intima. Più urgente.

Un lusso nuovo: sentire, non consumare

In un mondo che corre, Andrade ci invita a sentire di più, desiderare di meno. A rallentare lo sguardo. A disimparare la voracità.

L’art de ne pas être vorace non è solo una mostra. È un’esperienza sensoriale e spirituale, un manifesto di delicatezza. Un invito a reimmaginare la nostra relazione con il vivente. E forse, oggi, non c’è nulla di più lussuoso, né di più rivoluzionario.

 

 

Crediti foto: © Jean-Christophe Lett

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Published On: 12 Luglio 2025

About the Author: Cristina Biordi

Tempo stimato per la lettura: 12 minuti

Nel cuore del sud della Francia, tra le viti che si arrampicano sulle colline e il silenzio di una natura incontaminata, si staglia un luogo fuori dal tempo: la Commanderie de Peyrassol. Qui, dall’agosto fino al 2 novembre 2025, prende vita L’art de ne pas être vorace, la prima mostra personale in loco dell’artista brasiliano Jonathas de Andrade.

Un titolo che vibra di poesia e inquietudine, tratto da un frammento della scrittrice Clarice Lispector, che diventa sussurro e grido. Un invito a rallentare, a riflettere, a guardare oltre la superficie delle cose.

Quando l’arte incontra la terra

Dietro questa chiamata c’è Philippe Austruy, visionario collezionista e anima pulsante della Commanderie, in collaborazione con la stagione Francia‑Brasile 2025. È lui ad aprire le porte a un artista che nasce dalle maree del Nord-Est brasiliano, e che oggi trasforma la materia in messaggio.

Il palcoscenico è un’ex area industriale di 300 m², convertita nel 2020 da Charles Berthier in uno spazio espositivo austero e magnetico. Un contenitore brutale, ma profondamente evocativo. Cemento e luce. Silenzio e tensione.

Voracità: una lente per guardare il mondo

“Non essere voraci” non è solo una scelta etica, è un’estetica. Un modo di stare nel mondo. Andrade lo fa con opere che toccano, feriscono, abbracciano. Fotografie, video, sculture: tutto ruota attorno a un’idea potente – che il desiderio, se non è contenuto, divora.

In O Peixe (2016) e Nó na garganta (2022), lo spettatore è immerso in una danza ipnotica tra uomini e animali, tra carezze e catture. Una tensione che vibra tra bellezza e brutalità, tra controllo e connessione.

Una natura ferita, ma ancora viva

Il dialogo con il paesaggio non è romantico, ma reale. Fragile. Urgente. Andrade lavora con materiali del luogo: pietre, plastica, resina. Crea un totem scultoreo che sembra emergere dal ventre stesso della terra, contaminata ma resistente.

E poi ci sono loro, i limaçons, le piccole chiocciole raccolte nei dintorni. Simboli di lentezza e sopravvivenza. Presenze silenziose in un ecosistema ormai antropizzato, ma

Brasile profondo, memoria collettiva

Il Nord-Est del Brasile pulsa in ogni opera. In Fome de Resistência (2019) e Exercício Construtivo para uma Guerrilha Sem Terra (2016), Andrade ci restituisce una storia di lotte: quella delle popolazioni indigene, dei contadini senza terra, dei corpi invisibili che resistono all’oblio.

Barricate, rituali, mappe dell’identità. La sua arte diventa archivio vivente, un atlante emotivo del Sud globale.

Clarice Lispector: musa invisibile

A fare da sottofondo, come una nota persistente, c’è la voce di Clarice Lispector. Cresciuta a Recife, come lo stesso Andrade, è lei a offrire le parole chiave: fame, desiderio, limite. Andrade ne fa materia viva.

L’arte si fa allora atto di introspezione, tensione erotica e spirituale. Un modo di abitare il mondo che non chiede il possesso, ma la comprensione.

Fotografie che parlano di noi

Ogni immagine è una soglia. Case diroccate, volti segnati, paesaggi dimenticati. Andrade non documenta: ascolta. E ci costringe a fare lo stesso.

Il suo Brasile non è solo geografico. È emotivo. È il Sud del mondo che vive anche dentro di noi, fatto di silenzi e di lotte, di sogni infranti e di resistenza quotidiana.

Estetica cruda, umanità vibrante

Jonathas de Andrade non abbellisce. Mostra. Senza retorica. Senza sconti. Con una bellezza feroce che accarezza e morde. Le sue opere parlano di lavoro, identità, desiderio. Ma lo fanno in punta di piedi, senza ideologia.

È un artista che crea con la pelle. Che ti guarda negli occhi. Che ti fa domande – e non offre risposte facili.

Dal Brasile al mondo: una voce necessaria

Dalla Biennale di Venezia al New Museum di New York, dalla Power Plant di Toronto al MASP di São Paulo: la voce di Jonathas de Andrade risuona nelle istituzioni più influenti del mondo. Ma qui, a Peyrassol, il tempo sembra dilatarsi.

Nel silenzio assolato del Var, ogni opera trova un’eco nuova. Più intima. Più urgente.

Un lusso nuovo: sentire, non consumare

In un mondo che corre, Andrade ci invita a sentire di più, desiderare di meno. A rallentare lo sguardo. A disimparare la voracità.

L’art de ne pas être vorace non è solo una mostra. È un’esperienza sensoriale e spirituale, un manifesto di delicatezza. Un invito a reimmaginare la nostra relazione con il vivente. E forse, oggi, non c’è nulla di più lussuoso, né di più rivoluzionario.

 

 

Crediti foto: © Jean-Christophe Lett

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