Quando il pensiero diventa forma: Beauvoir, Sartre, Giacometti all’Istituto Giacometti

Tempo stimato per la lettura: 4,2 minuti
Parigi, estate 2025. All’Institut Giacometti, in rue Victor-Schœlcher, si apre una mostra come un respiro lungo nel tempo, un’incursione nell’intimità intellettuale tra tre giganti del Novecento: Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre e Alberto Giacometti. Beauvoir, Sartre, Giacometti. Vertiges de l’absolu (Vertigini dell’Assoluto), è un dialogo incandescente tra scultura, parola e pensiero, un viaggio nei luoghi dell’invisibile, dove la filosofia tocca la materia e la materia sfiora l’abisso.
Dal 19 giugno al 12 ottobre 2025, attraverso sculture iconiche, manoscritti rari, fotografie e ambientazioni immersive, la mostra si fa vertigine e desiderio, interrogazione sul senso stesso dell’esistenza.
L’incontro: Ginevra, 1946 – Nascita di un’alleanza
Tutto inizia tra le nebbie di Ginevra, nell’autunno del 1946. Beauvoir e Sartre, ospiti dell’editore Albert Skira, attraversano la città con passo leggero, come se cercassero qualcosa oltre il presente. Sono lì per tenere conferenze sull’esistenzialismo, ma soprattutto per ritrovare Alberto Giacometti, già lontano dal surrealismo, immerso in una ricerca più profonda.
Le prime stanze dell’esposizione sono dedicate a quell’inizio: fotografie in bianco e nero, copertine della rivista Labyrinthe, appunti e lettere che raccontano la transizione, intima e collettiva, da una Parigi ferita dall’occupazione a un’Europa in cerca di significato.
Là, in piena oscurità storica, nasce una luce: l’amicizia tra tre spiriti radicali, uniti dal rifiuto del compromesso, e dalla volontà di fare della creazione un gesto assoluto.
1948 – La ricerca dell’assoluto
New York, Galerie Pierre Matisse, 1948. Una sala raccolta accoglie Le Nez, L’Objet invisible, L’Apollon, e figure allungate come apparizioni nel vuoto. La mostra segna una svolta. A fianco delle opere, un testo visionario di Sartre, La recherche de l’absolu, incarna una riflessione quasi mistica sull’arte di Giacometti.
Sartre non descrive: interpreta. Vede nell’opera dell’amico una sfida al tempo, una rivolta contro la cultura codificata. Per Giacometti, scolpire non è un gesto tecnico: è un atto originario, quasi primitivo. L’artista non “crea”, ma tenta di vedere l’essere, di accostarsi all’essenza.
In parallelo, Beauvoir pubblica i primi estratti de Il secondo sesso. Giacometti la sostiene, non per ideologia, ma per fedeltà alla libertà umana nella sua forma più pura. Questo triangolo creativo si nutre di ascolto, dissenso, amore e stima: un incontro rarefatto, eppure radicalmente concreto.
L’Uomo che Chavira (1950): il corpo nella vertigine
Parigi, boulevard du Montparnasse. Un’uscita dal cinema si trasforma per Giacometti in esperienza allucinatoria: le forme perdono peso, le persone sembrano fluttuare, il vuoto diventa tangibile. È da questa percezione che nasce L’Homme qui chavire, l’uomo che traballa, che cede all’instabilità dell’essere.
Beauvoir annota queste visioni nei suoi scritti, riconoscendovi il medesimo smarrimento che attraversa la sua stessa scrittura, e quella di Sartre. Vivere, scrivere, scolpire: tre forme di resistenza al nulla.
La mostra espone questa celebre scultura accanto a La Main, e le mette in dialogo con una grande fotografia dell’artista Agnès Geoffray, che interpreta visivamente il concetto di vertigine esistenziale.
La stanza tutta per sé di Simone
L’ultima sala è un omaggio commovente e prezioso. Ricostruita con delicatezza filologica, la camera da scrittura di Simone de Beauvoir al numero 11bis di rue Victor-Schœlcher si apre al visitatore come uno spazio vivo. Dalla finestra, la stessa vista sull’antico cimitero di Montparnasse.
Oggetti esotici, lampade disegnate da Giacometti, libri, ricordi: ogni elemento racconta una vita vissuta intensamente. Non è solo uno spazio fisico, ma un ritratto in assenza. Qui, Beauvoir scrive, pensa, riflette. Qui la sua voce diventa ancora più nostra. Qui il visitatore si ritrova nel cuore dell’intimità creativa.
Un’estetica dell’esistenza
Più che una mostra, Vertiges de l’absolu è un’esperienza. L’Istituto Giacometti riesce nel miracolo: rendere palpabile l’invisibile, dare forma a ciò che normalmente sfugge.
Il catalogo (144 pagine, Fondation Giacometti & Fage éditions) raccoglie testi critici, dialoghi, immagini e archivi inediti. Sotto la direzione curatoriale di Émilie Bouvard, studiosi come Esther Demoulin, Kate Kirkpatrick e Michal Sobanski offrono interpretazioni che spaziano dalla fenomenologia dell’arte alla libertà femminile.
Attorno alla mostra, una ricca programmazione culturale anima l’Istituto con visite guidate bilingue, laboratori per famiglie e incontri tematici.
Tra parola e materia, un patto d’eternità
Vertiges de l’absolu invita a un gesto lento: entrare nella vita dei pensatori, sentirne i dubbi, toccarne le fragilità. In Beauvoir, Sartre e Giacometti, l’assoluto non è una risposta, ma una tensione. Un punto cieco verso cui avanzare, ogni giorno, con occhi aperti. E con le mani, se serve, sfiorare i muri — per non cadere.
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Quando il pensiero diventa forma: Beauvoir, Sartre, Giacometti all’Istituto Giacometti
Tempo stimato per la lettura: 13 minuti
Parigi, estate 2025. All’Institut Giacometti, in rue Victor-Schœlcher, si apre una mostra come un respiro lungo nel tempo, un’incursione nell’intimità intellettuale tra tre giganti del Novecento: Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre e Alberto Giacometti. Beauvoir, Sartre, Giacometti. Vertiges de l’absolu (Vertigini dell’Assoluto), è un dialogo incandescente tra scultura, parola e pensiero, un viaggio nei luoghi dell’invisibile, dove la filosofia tocca la materia e la materia sfiora l’abisso.
Dal 19 giugno al 12 ottobre 2025, attraverso sculture iconiche, manoscritti rari, fotografie e ambientazioni immersive, la mostra si fa vertigine e desiderio, interrogazione sul senso stesso dell’esistenza.
L’incontro: Ginevra, 1946 – Nascita di un’alleanza
Tutto inizia tra le nebbie di Ginevra, nell’autunno del 1946. Beauvoir e Sartre, ospiti dell’editore Albert Skira, attraversano la città con passo leggero, come se cercassero qualcosa oltre il presente. Sono lì per tenere conferenze sull’esistenzialismo, ma soprattutto per ritrovare Alberto Giacometti, già lontano dal surrealismo, immerso in una ricerca più profonda.
Le prime stanze dell’esposizione sono dedicate a quell’inizio: fotografie in bianco e nero, copertine della rivista Labyrinthe, appunti e lettere che raccontano la transizione, intima e collettiva, da una Parigi ferita dall’occupazione a un’Europa in cerca di significato.
Là, in piena oscurità storica, nasce una luce: l’amicizia tra tre spiriti radicali, uniti dal rifiuto del compromesso, e dalla volontà di fare della creazione un gesto assoluto.
1948 – La ricerca dell’assoluto
New York, Galerie Pierre Matisse, 1948. Una sala raccolta accoglie Le Nez, L’Objet invisible, L’Apollon, e figure allungate come apparizioni nel vuoto. La mostra segna una svolta. A fianco delle opere, un testo visionario di Sartre, La recherche de l’absolu, incarna una riflessione quasi mistica sull’arte di Giacometti.
Sartre non descrive: interpreta. Vede nell’opera dell’amico una sfida al tempo, una rivolta contro la cultura codificata. Per Giacometti, scolpire non è un gesto tecnico: è un atto originario, quasi primitivo. L’artista non “crea”, ma tenta di vedere l’essere, di accostarsi all’essenza.
In parallelo, Beauvoir pubblica i primi estratti de Il secondo sesso. Giacometti la sostiene, non per ideologia, ma per fedeltà alla libertà umana nella sua forma più pura. Questo triangolo creativo si nutre di ascolto, dissenso, amore e stima: un incontro rarefatto, eppure radicalmente concreto.
L’Uomo che Chavira (1950): il corpo nella vertigine
Parigi, boulevard du Montparnasse. Un’uscita dal cinema si trasforma per Giacometti in esperienza allucinatoria: le forme perdono peso, le persone sembrano fluttuare, il vuoto diventa tangibile. È da questa percezione che nasce L’Homme qui chavire, l’uomo che traballa, che cede all’instabilità dell’essere.
Beauvoir annota queste visioni nei suoi scritti, riconoscendovi il medesimo smarrimento che attraversa la sua stessa scrittura, e quella di Sartre. Vivere, scrivere, scolpire: tre forme di resistenza al nulla.
La mostra espone questa celebre scultura accanto a La Main, e le mette in dialogo con una grande fotografia dell’artista Agnès Geoffray, che interpreta visivamente il concetto di vertigine esistenziale.
La stanza tutta per sé di Simone
L’ultima sala è un omaggio commovente e prezioso. Ricostruita con delicatezza filologica, la camera da scrittura di Simone de Beauvoir al numero 11bis di rue Victor-Schœlcher si apre al visitatore come uno spazio vivo. Dalla finestra, la stessa vista sull’antico cimitero di Montparnasse.
Oggetti esotici, lampade disegnate da Giacometti, libri, ricordi: ogni elemento racconta una vita vissuta intensamente. Non è solo uno spazio fisico, ma un ritratto in assenza. Qui, Beauvoir scrive, pensa, riflette. Qui la sua voce diventa ancora più nostra. Qui il visitatore si ritrova nel cuore dell’intimità creativa.
Un’estetica dell’esistenza
Più che una mostra, Vertiges de l’absolu è un’esperienza. L’Istituto Giacometti riesce nel miracolo: rendere palpabile l’invisibile, dare forma a ciò che normalmente sfugge.
Il catalogo (144 pagine, Fondation Giacometti & Fage éditions) raccoglie testi critici, dialoghi, immagini e archivi inediti. Sotto la direzione curatoriale di Émilie Bouvard, studiosi come Esther Demoulin, Kate Kirkpatrick e Michal Sobanski offrono interpretazioni che spaziano dalla fenomenologia dell’arte alla libertà femminile.
Attorno alla mostra, una ricca programmazione culturale anima l’Istituto con visite guidate bilingue, laboratori per famiglie e incontri tematici.
Tra parola e materia, un patto d’eternità
Vertiges de l’absolu invita a un gesto lento: entrare nella vita dei pensatori, sentirne i dubbi, toccarne le fragilità. In Beauvoir, Sartre e Giacometti, l’assoluto non è una risposta, ma una tensione. Un punto cieco verso cui avanzare, ogni giorno, con occhi aperti. E con le mani, se serve, sfiorare i muri — per non cadere.
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