Chi Esce Entra: il fantasma di Via Gregoriana 9 ritorna alla luce

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 10 Ottobre 2025

Tempo stimato per la lettura: 7,1 minuti

Roma, autunno 2025. Al civico 9 di via Gregoriana, dietro una facciata discreta, si cela un edificio che ha attraversato più di un secolo di metamorfosi: galleria d’arte, rifugio per collezionisti, poi tempio della notte con La Cage aux folles, epicentro della scena queer e bohémien degli anni Ottanta. Dopo tre decenni di silenzio e abbandono, quello spazio sospeso tra memoria e rovina torna oggi a pulsare di vita grazie a Chi esce entra. A Tribute Exhibition to a Disappearing Building, in programma dal 10 ottobre al 9 novembre 2025.

Un gesto di memoria prima della trasformazione

La mostra, curata da Simon Würsten Marin e promossa dalla Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte, rappresenta un atto di resistenza contro l’oblio. Prima che l’edificio venga restaurato e trasformato in una nuova estensione della Bibliotheca Hertziana, “Chi esce entra” ne riattiva per un ultimo, effimero momento la funzione originaria: quella di galleria.

L’esposizione riunisce oltre venti artisti italiani e internazionali — tra cui Vincenzo Agnetti, Prem Sahib, Corrado Levi, Paul Maheke, Louise Bourgeois, Eva Fàbregas, Marie Matusz, Aurélien Potier e Ian Waelder, solo per citarne alcuni — chiamati a confrontarsi con l’attuale stato di degrado del luogo. Le loro opere, molte delle quali realizzate in situ, dialogano con pareti scrostate, soffitti crollati e segni del tempo, trasformando la vulnerabilità in linguaggio visivo.

Quando l’arte abita la rovina

“Chi esce entra” non è solo una mostra: è una riflessione poetica e politica sulla memoria. Attraverso scultura, pittura, installazione, fotografia, video e performance, le opere indagano come i processi di oblio, decadimento e trasformazione si inscrivano nello spazio architettonico e nelle identità collettive.

Il titolo, ripreso da un’opera di Vincenzo Agnetti, diventa chiave simbolica del progetto: chi esce entra, chi scompare ritorna sotto un’altra forma. È il destino stesso dell’edificio, che si prepara a una nuova vita come biblioteca di libri rari, mentre l’arte ne registra l’ultimo respiro.

Una comunità che si ritrova

Accanto all’esposizione, un programma pubblico di performance, visite guidate e una tavola rotonda trasforma via Gregoriana 9 in un punto d’incontro tra artisti, studiosi e cittadinanza. Ogni evento diventa un gesto di partecipazione e condivisione, una presa di parola collettiva sul valore della memoria urbana.

A conclusione del progetto, verrà pubblicato un volume edito da Dario Cimorelli Editore, con saggi e un’ampia documentazione dell’edificio e della mostra, perché la traccia di questo luogo non svanisca, ma continui a vivere nelle pagine e negli sguardi di chi lo ha attraversato.

Vincenzo Agnetti e la grammatica dell’impossibile

Lo abbiamo accennato, tutto inizia con una frase che è anche un enigma: “Chi esce entra” di Vincenzo Agnetti che soprattutto  rivela la filosofia di questo progetto. Come nei suoi Feltri, superfici monocrome attraversate da brevi aporie, Agnetti costruisce trappole semantiche dove il linguaggio implode per generare nuovi sensi. Le sue parole, marchiate sul feltro e poi verniciate, sono ritratti o paesaggi solo in apparenza: in realtà, sono mappe mentali che smontano la logica e la trasformano in poesia.

In questa mostra, la sua voce diventa portale. “Chi esce entra” è un ossimoro che racconta il destino stesso di Via Gregoriana 9, luogo in transizione, pronto a morire per rinascere. Come le sue frasi, l’edificio attraversa la soglia tra memoria e futuro senza mai davvero uscire di scena.

Prem Sahib, Corrado Levi e Paul Maheke : il corpo queer come archivio

All’ingresso, ad accogliere chi varca la soglia, è Man Dog di Prem Sahib: un corridoio immerso in un bagliore carminio dove luce e suono si fondono in un’esperienza sensoriale totale. Il passaggio dalla strada all’interno diventa un rito di attraversamento, un varco verso un’altra dimensione. Qui, il rosso del desiderio si intreccia al respiro dell’odio, e l’edificio si trasforma in una camera d’eco della sessualità queer — carnale, vulnerabile, emancipatrice.

Nella Roma notturna degli anni Ottanta, La Cage aux folles era più di un locale: era un rifugio. Oggi, le opere di Corrado Levi, Paul Maheke e Prem Sahib ne evocano i fantasmi.

In una sorta di mise en abyme, viene presentata la fotografia di Corrado Levi. Un gesto ironico e politico compiuto nel 1985: aggiungere “di Corrado Levi” all’insegna “Uomini” di un bagno pubblico. Una firma queer che trasforma un luogo di esclusione in spazio di libertà. Oggi, la fotografia di quell’intervento è esposta accanto al bagno del nightclub, chiudendo un cerchio tra passato e presente.

L’opera monumentale di Paul Maheke riattiva lo spazio con un’installazione di tende traslucide su cui campeggia una frase tratta da Impossible Dance di Fiona Buckland. Il suo lavoro trasforma la rovina in una discoteca spettrale: la danza come atto politico, il corpo come archivio di storie cancellate.

Louise Bourgeois ed Eva Fàbregas: corpi, ferite, metamorfosi

Louise Bourgeois e Eva Fàbregas condividono un legame profondo con la corporeità. La prima, con la sua piccola scultura in bronzo Untitled (Femme), indaga la sessualità come territorio primordiale, dove maschile e femminile si fondono in un archetipo unico. Il bronzo, duro e sensuale, vibra di tensioni arcaiche: un gesto che parla di nascita, violenza, memoria. Esposta eccezionalmente, la scultura riemerge come una reliquia organica dalle rovine dell’ex La Cage aux folles.

Eva Fàbregas, invece, ribalta la solidità della scultura in un corpo morbido e mutante. Con la sua installazione Exudates, fatta di tessuti, lattice e palloni gonfiabili, trasforma l’edificio in un organismo ferito che trasuda vita. Le sue forme pulsanti sembrano crescere direttamente dalle pareti umide, come una flora post-umana. In entrambi i casi, la materia è pelle: viva, vulnerabile, sessuata.

Marie Matusz e Aurélien Potier: fragilità strutturale, architetture sospese

La ricerca di Marie Matusz e Aurélien Potier si muove tra architettura e instabilità, tra trasparenza e crollo. Con Towards Vanishing, Matusz costruisce teche e strutture che rivelano e insieme nascondono. L’opera riflette sulla scomparsa: quella della tela al centro della scultura, ma anche quella dell’edificio che la ospita. Gli specchi e le lastre acriliche moltiplicano le prospettive, come se la memoria stessa si frantumasse in riflessi.

Aurélien Potier lavora invece con i resti della costruzione: cavi metallici, ganci, cristalli di sale, cera. Le sue sculture sembrano cantieri congelati nel tempo, pronti a collassare o rinascere. La precarietà diventa estetica e metafora: l’edificio di Via Gregoriana 9 come corpo ferito, ma ancora in equilibrio.

Ian Waelder: la memoria come impronta

Per Ian Waelder, la rovina è un archivio intimo. In Stain & Repair (Handle with care), parte da una storia familiare: l’auto che suo nonno dovette vendere per fuggire dalla Germania nazista. Due immagini sfocate, nascoste dietro un velo di lino macchiato, raccontano il fragile confine tra oblio e sopravvivenza.

Come l’edificio che ospita la mostra, anche queste immagini sono quasi scomparse, ma non del tutto. Basta muoversi, cambiare angolazione, lasciar filtrare la luce. La memoria, come l’arte, si rivela solo a chi è disposto a cercarla.

Roma, tra rovina e rinascita

Con Chi esce entra, la Bibliotheca Hertziana e il dipartimento Rome Contemporary, diretto da Tristan Weddigen, firmano un progetto che unisce ricerca, arte e memoria in un’unica visione.

Nel cuore del centro storico, dove ogni pietra racconta un frammento di storia, via Gregoriana 9 torna a vibrare — non come reliquia, ma come corpo vivo, fragile e luminoso. Un luogo che insegna che nulla si perde davvero: tutto, prima o poi, trova un modo per rientrare.

Crediti immagini:

foto Cristina Biordi

1 Eva Fàbregas, installazione Exudates, e Paul Maheke, Impossible Dance

2 Simon Würsten Marin vicino all’opera di Jesse Darling Untitled (Still Life)

3 “Uomini di Corrado Levi”

4 Ian Waelder, Stain & Repair (Handle with care)

5 Aurélien Potier

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Published On: 10 Ottobre 2025

About the Author: Cristina Biordi

Tempo stimato per la lettura: 21 minuti

Roma, autunno 2025. Al civico 9 di via Gregoriana, dietro una facciata discreta, si cela un edificio che ha attraversato più di un secolo di metamorfosi: galleria d’arte, rifugio per collezionisti, poi tempio della notte con La Cage aux folles, epicentro della scena queer e bohémien degli anni Ottanta. Dopo tre decenni di silenzio e abbandono, quello spazio sospeso tra memoria e rovina torna oggi a pulsare di vita grazie a Chi esce entra. A Tribute Exhibition to a Disappearing Building, in programma dal 10 ottobre al 9 novembre 2025.

Un gesto di memoria prima della trasformazione

La mostra, curata da Simon Würsten Marin e promossa dalla Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte, rappresenta un atto di resistenza contro l’oblio. Prima che l’edificio venga restaurato e trasformato in una nuova estensione della Bibliotheca Hertziana, “Chi esce entra” ne riattiva per un ultimo, effimero momento la funzione originaria: quella di galleria.

L’esposizione riunisce oltre venti artisti italiani e internazionali — tra cui Vincenzo Agnetti, Prem Sahib, Corrado Levi, Paul Maheke, Louise Bourgeois, Eva Fàbregas, Marie Matusz, Aurélien Potier e Ian Waelder, solo per citarne alcuni — chiamati a confrontarsi con l’attuale stato di degrado del luogo. Le loro opere, molte delle quali realizzate in situ, dialogano con pareti scrostate, soffitti crollati e segni del tempo, trasformando la vulnerabilità in linguaggio visivo.

Quando l’arte abita la rovina

“Chi esce entra” non è solo una mostra: è una riflessione poetica e politica sulla memoria. Attraverso scultura, pittura, installazione, fotografia, video e performance, le opere indagano come i processi di oblio, decadimento e trasformazione si inscrivano nello spazio architettonico e nelle identità collettive.

Il titolo, ripreso da un’opera di Vincenzo Agnetti, diventa chiave simbolica del progetto: chi esce entra, chi scompare ritorna sotto un’altra forma. È il destino stesso dell’edificio, che si prepara a una nuova vita come biblioteca di libri rari, mentre l’arte ne registra l’ultimo respiro.

Una comunità che si ritrova

Accanto all’esposizione, un programma pubblico di performance, visite guidate e una tavola rotonda trasforma via Gregoriana 9 in un punto d’incontro tra artisti, studiosi e cittadinanza. Ogni evento diventa un gesto di partecipazione e condivisione, una presa di parola collettiva sul valore della memoria urbana.

A conclusione del progetto, verrà pubblicato un volume edito da Dario Cimorelli Editore, con saggi e un’ampia documentazione dell’edificio e della mostra, perché la traccia di questo luogo non svanisca, ma continui a vivere nelle pagine e negli sguardi di chi lo ha attraversato.

Vincenzo Agnetti e la grammatica dell’impossibile

Lo abbiamo accennato, tutto inizia con una frase che è anche un enigma: “Chi esce entra” di Vincenzo Agnetti che soprattutto  rivela la filosofia di questo progetto. Come nei suoi Feltri, superfici monocrome attraversate da brevi aporie, Agnetti costruisce trappole semantiche dove il linguaggio implode per generare nuovi sensi. Le sue parole, marchiate sul feltro e poi verniciate, sono ritratti o paesaggi solo in apparenza: in realtà, sono mappe mentali che smontano la logica e la trasformano in poesia.

In questa mostra, la sua voce diventa portale. “Chi esce entra” è un ossimoro che racconta il destino stesso di Via Gregoriana 9, luogo in transizione, pronto a morire per rinascere. Come le sue frasi, l’edificio attraversa la soglia tra memoria e futuro senza mai davvero uscire di scena.

Prem Sahib, Corrado Levi e Paul Maheke : il corpo queer come archivio

All’ingresso, ad accogliere chi varca la soglia, è Man Dog di Prem Sahib: un corridoio immerso in un bagliore carminio dove luce e suono si fondono in un’esperienza sensoriale totale. Il passaggio dalla strada all’interno diventa un rito di attraversamento, un varco verso un’altra dimensione. Qui, il rosso del desiderio si intreccia al respiro dell’odio, e l’edificio si trasforma in una camera d’eco della sessualità queer — carnale, vulnerabile, emancipatrice.

Nella Roma notturna degli anni Ottanta, La Cage aux folles era più di un locale: era un rifugio. Oggi, le opere di Corrado Levi, Paul Maheke e Prem Sahib ne evocano i fantasmi.

In una sorta di mise en abyme, viene presentata la fotografia di Corrado Levi. Un gesto ironico e politico compiuto nel 1985: aggiungere “di Corrado Levi” all’insegna “Uomini” di un bagno pubblico. Una firma queer che trasforma un luogo di esclusione in spazio di libertà. Oggi, la fotografia di quell’intervento è esposta accanto al bagno del nightclub, chiudendo un cerchio tra passato e presente.

L’opera monumentale di Paul Maheke riattiva lo spazio con un’installazione di tende traslucide su cui campeggia una frase tratta da Impossible Dance di Fiona Buckland. Il suo lavoro trasforma la rovina in una discoteca spettrale: la danza come atto politico, il corpo come archivio di storie cancellate.

Louise Bourgeois ed Eva Fàbregas: corpi, ferite, metamorfosi

Louise Bourgeois e Eva Fàbregas condividono un legame profondo con la corporeità. La prima, con la sua piccola scultura in bronzo Untitled (Femme), indaga la sessualità come territorio primordiale, dove maschile e femminile si fondono in un archetipo unico. Il bronzo, duro e sensuale, vibra di tensioni arcaiche: un gesto che parla di nascita, violenza, memoria. Esposta eccezionalmente, la scultura riemerge come una reliquia organica dalle rovine dell’ex La Cage aux folles.

Eva Fàbregas, invece, ribalta la solidità della scultura in un corpo morbido e mutante. Con la sua installazione Exudates, fatta di tessuti, lattice e palloni gonfiabili, trasforma l’edificio in un organismo ferito che trasuda vita. Le sue forme pulsanti sembrano crescere direttamente dalle pareti umide, come una flora post-umana. In entrambi i casi, la materia è pelle: viva, vulnerabile, sessuata.

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La ricerca di Marie Matusz e Aurélien Potier si muove tra architettura e instabilità, tra trasparenza e crollo. Con Towards Vanishing, Matusz costruisce teche e strutture che rivelano e insieme nascondono. L’opera riflette sulla scomparsa: quella della tela al centro della scultura, ma anche quella dell’edificio che la ospita. Gli specchi e le lastre acriliche moltiplicano le prospettive, come se la memoria stessa si frantumasse in riflessi.

Aurélien Potier lavora invece con i resti della costruzione: cavi metallici, ganci, cristalli di sale, cera. Le sue sculture sembrano cantieri congelati nel tempo, pronti a collassare o rinascere. La precarietà diventa estetica e metafora: l’edificio di Via Gregoriana 9 come corpo ferito, ma ancora in equilibrio.

Ian Waelder: la memoria come impronta

Per Ian Waelder, la rovina è un archivio intimo. In Stain & Repair (Handle with care), parte da una storia familiare: l’auto che suo nonno dovette vendere per fuggire dalla Germania nazista. Due immagini sfocate, nascoste dietro un velo di lino macchiato, raccontano il fragile confine tra oblio e sopravvivenza.

Come l’edificio che ospita la mostra, anche queste immagini sono quasi scomparse, ma non del tutto. Basta muoversi, cambiare angolazione, lasciar filtrare la luce. La memoria, come l’arte, si rivela solo a chi è disposto a cercarla.

Roma, tra rovina e rinascita

Con Chi esce entra, la Bibliotheca Hertziana e il dipartimento Rome Contemporary, diretto da Tristan Weddigen, firmano un progetto che unisce ricerca, arte e memoria in un’unica visione.

Nel cuore del centro storico, dove ogni pietra racconta un frammento di storia, via Gregoriana 9 torna a vibrare — non come reliquia, ma come corpo vivo, fragile e luminoso. Un luogo che insegna che nulla si perde davvero: tutto, prima o poi, trova un modo per rientrare.

Crediti immagini:

foto Cristina Biordi

1 Eva Fàbregas, installazione Exudates, e Paul Maheke, Impossible Dance

2 Simon Würsten Marin vicino all’opera di Jesse Darling Untitled (Still Life)

3 “Uomini di Corrado Levi”

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