Frammenti di luce: le meraviglie segrete del cinema indonesiano

Tempo stimato per la lettura: 4,3 minuti
Per il 75° anniversario delle relazioni franco-indonesiane, Parigi si prepara a illuminarsi dei colori, dei ritmi e delle ombre misteriose del cinema indonesiano. Dal 11 al 21 dicembre 2025, nonostante la chiusura temporanea delle sale della Cinémathèque française, la retrospettiva Panorama du cinéma indonésien avrà comunque luogo in una cornice iconica: il cinéma Mk2 × Centre Pompidou. Una retrospettiva unica porta sul grande schermo una costellazione di rarità – musical scintillanti, horror visionari, sperimentazioni d’autore e film politici pregni di storia e memoria. A inaugurarla, una delegazione d’eccezione: i registi Aditya Ahmad, Joko Anwar, Riri Riza, Nia Dinata, gli attori Ario Bayu, Christine Hakim, Asmara Abigail e molte altre personalità che incarnano il nuovo splendore dell’arcipelago cinematografico.
Alle origini: un cinema nato tra colonie, giungle e rivoluzioni
La storia del cinema indonesiano è un mosaico di assenze e miracolose sopravvivenze. Nato negli anni ’20 nelle allora Indie orientali olandesi, il cinema muove i primi passi sotto lo sguardo dei coloni, per poi fiorire durante l’occupazione giapponese e nel periodo tumultuoso della lotta d’indipendenza. Molti dei film di quell’epoca, melodrammi e “jungle movies”, sono ormai perduti – un patrimonio fantasma che sopravvive grazie al lavoro pionieristico della Sinemathek indonesiana e della sua figura leggendaria, Misbach Yusa Biran.
Il cinema come nascita di una nazione: l’epoca di Usmar Ismail
Con l’indipendenza e la presidenza di Soekarno, il cinema diventa un laboratorio identitario. Il suo nome più radioso è Usmar Ismail: regista, fondatore della Perfini, mentore di generazioni. Con La Longue Marche porta sullo schermo non solo la lotta contro il colonialismo, ma la complessità emotiva di un popolo in costruzione. Il suo stile, moderno e privo di retorica, resta uno dei punti più alti della settima arte indonesiana.
Anni ’50-’80: tra censura, vitalità pop e riflessioni d’autore
Dopo un boom produttivo negli anni ’50, l’arrivo dell’Ordine nuovo di Soeharto – e dei suoi trent’anni di rigida censura – limita il potere del cinema, senza però spegnere la creatività. Negli anni ’70-’80 l’industria ricomincia a pulsare: commedie urbane, film d’azione mistici, horror visionari e melodrammi popolari incontrano un pubblico vastissimo. Intanto autori come Sjumandjaja osano scontrarsi con i tabù politici e familiari, portando sullo schermo un’Indonesia sfaccettata e spesso contraddittoria.
Teatro, letteratura, cinema: la triade che definisce un’estetica
Dal 1968, il Teater Populer di Teguh Karya diventa la fucina di un nuovo cinema, colto e attento alle tensioni sociali. I suoi film degli anni ’70-’80 oscillano tra critica sociale, ironia melodrammatica e un’eleganza visiva che ha influenzato intere generazioni di attori e registi. La sua eredità è palpabile ancora oggi nella messa in scena del cinema indonesiano contemporaneo, sospesa tra realismo e teatralità.
Garin Nugroho e la modernità: poesia politica in movimento
Garin Nugroho, regista-poeta, conquista l’attenzione internazionale nel 1998 con Feuille sur un oreiller, film intenso ma solo una piccola finestra sulla sua ricchezza creativa. La sua filmografia è un viaggio sensoriale: dall’opera politica Un poète alla sontuosa e rituale Opera Jawa, fino all’audace introspezione di Mémoires de mon corps. Nugroho ha aperto la strada a una nuova ondata di autori, orgogliosamente radicati nella loro cultura ma radicalmente contemporanei.
Il nuovo millennio: un’industria potente, un pubblico in crescita
Dal 2000, il cinema indonesiano vive un vero rinascimento: sale moderne, box-office in ascesa e un pubblico giovane e fedele. Nel 2023 oltre metà degli spettatori sceglie film nazionali. Il genere dominante? L’horror, una sinfonia di miti locali, spiriti antichi e inquietudini moderne. Les Esclaves de Satan di Joko Anwar è ormai cult in tutta l’Asia, mentre KKN di Desa Penari di Awi Suryadi è diventato il film più redditizio della storia indonesiana.
Donne che cambiano lo schermo: la rivoluzione femminile
Se Christine Hakim è la diva storica, musa di Teguh Karya e produttrice impegnata, oggi una nuova generazione di registe ridefinisce i confini del cinema nazionale.
- Nia Dinata, audace e politica, firma film che parlano di identità sessuale, poligamia, patriarcato, con uno sguardo liberatorio.
- Mouly Surya reinventa i generi con il folgorante Marlina, la tueuse en quatre actes, un western femminista che ha conquistato i festival.
- Kamila Andini, poetica e incisiva, con Une femme indonésienne esplora le ferite storiche e intime del suo Paese, trasformando il dolore in eleganza cinematografica.
Una retrospettiva come manifesto culturale
La rassegna che celebra questa diplomazia lunga 75 anni non è solo un omaggio storico: è un invito a guardare oltre l’ovvio, ad aprirsi a una cinematografia sorprendente, complessa, sensuale, politica. Come scriveva Serge Daney nel 1981, “non è più tempo di ignorare questo cinema”. Oggi, finalmente, possiamo rispondere al suo appello con la curiosità che merita.
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Frammenti di luce: le meraviglie segrete del cinema indonesiano
Tempo stimato per la lettura: 13 minuti
Per il 75° anniversario delle relazioni franco-indonesiane, Parigi si prepara a illuminarsi dei colori, dei ritmi e delle ombre misteriose del cinema indonesiano. Dal 11 al 21 dicembre 2025, nonostante la chiusura temporanea delle sale della Cinémathèque française, la retrospettiva Panorama du cinéma indonésien avrà comunque luogo in una cornice iconica: il cinéma Mk2 × Centre Pompidou. Una retrospettiva unica porta sul grande schermo una costellazione di rarità – musical scintillanti, horror visionari, sperimentazioni d’autore e film politici pregni di storia e memoria. A inaugurarla, una delegazione d’eccezione: i registi Aditya Ahmad, Joko Anwar, Riri Riza, Nia Dinata, gli attori Ario Bayu, Christine Hakim, Asmara Abigail e molte altre personalità che incarnano il nuovo splendore dell’arcipelago cinematografico.
Alle origini: un cinema nato tra colonie, giungle e rivoluzioni
La storia del cinema indonesiano è un mosaico di assenze e miracolose sopravvivenze. Nato negli anni ’20 nelle allora Indie orientali olandesi, il cinema muove i primi passi sotto lo sguardo dei coloni, per poi fiorire durante l’occupazione giapponese e nel periodo tumultuoso della lotta d’indipendenza. Molti dei film di quell’epoca, melodrammi e “jungle movies”, sono ormai perduti – un patrimonio fantasma che sopravvive grazie al lavoro pionieristico della Sinemathek indonesiana e della sua figura leggendaria, Misbach Yusa Biran.
Il cinema come nascita di una nazione: l’epoca di Usmar Ismail
Con l’indipendenza e la presidenza di Soekarno, il cinema diventa un laboratorio identitario. Il suo nome più radioso è Usmar Ismail: regista, fondatore della Perfini, mentore di generazioni. Con La Longue Marche porta sullo schermo non solo la lotta contro il colonialismo, ma la complessità emotiva di un popolo in costruzione. Il suo stile, moderno e privo di retorica, resta uno dei punti più alti della settima arte indonesiana.
Anni ’50-’80: tra censura, vitalità pop e riflessioni d’autore
Dopo un boom produttivo negli anni ’50, l’arrivo dell’Ordine nuovo di Soeharto – e dei suoi trent’anni di rigida censura – limita il potere del cinema, senza però spegnere la creatività. Negli anni ’70-’80 l’industria ricomincia a pulsare: commedie urbane, film d’azione mistici, horror visionari e melodrammi popolari incontrano un pubblico vastissimo. Intanto autori come Sjumandjaja osano scontrarsi con i tabù politici e familiari, portando sullo schermo un’Indonesia sfaccettata e spesso contraddittoria.
Teatro, letteratura, cinema: la triade che definisce un’estetica
Dal 1968, il Teater Populer di Teguh Karya diventa la fucina di un nuovo cinema, colto e attento alle tensioni sociali. I suoi film degli anni ’70-’80 oscillano tra critica sociale, ironia melodrammatica e un’eleganza visiva che ha influenzato intere generazioni di attori e registi. La sua eredità è palpabile ancora oggi nella messa in scena del cinema indonesiano contemporaneo, sospesa tra realismo e teatralità.
Garin Nugroho e la modernità: poesia politica in movimento
Garin Nugroho, regista-poeta, conquista l’attenzione internazionale nel 1998 con Feuille sur un oreiller, film intenso ma solo una piccola finestra sulla sua ricchezza creativa. La sua filmografia è un viaggio sensoriale: dall’opera politica Un poète alla sontuosa e rituale Opera Jawa, fino all’audace introspezione di Mémoires de mon corps. Nugroho ha aperto la strada a una nuova ondata di autori, orgogliosamente radicati nella loro cultura ma radicalmente contemporanei.
Il nuovo millennio: un’industria potente, un pubblico in crescita
Dal 2000, il cinema indonesiano vive un vero rinascimento: sale moderne, box-office in ascesa e un pubblico giovane e fedele. Nel 2023 oltre metà degli spettatori sceglie film nazionali. Il genere dominante? L’horror, una sinfonia di miti locali, spiriti antichi e inquietudini moderne. Les Esclaves de Satan di Joko Anwar è ormai cult in tutta l’Asia, mentre KKN di Desa Penari di Awi Suryadi è diventato il film più redditizio della storia indonesiana.
Donne che cambiano lo schermo: la rivoluzione femminile
Se Christine Hakim è la diva storica, musa di Teguh Karya e produttrice impegnata, oggi una nuova generazione di registe ridefinisce i confini del cinema nazionale.
- Nia Dinata, audace e politica, firma film che parlano di identità sessuale, poligamia, patriarcato, con uno sguardo liberatorio.
- Mouly Surya reinventa i generi con il folgorante Marlina, la tueuse en quatre actes, un western femminista che ha conquistato i festival.
- Kamila Andini, poetica e incisiva, con Une femme indonésienne esplora le ferite storiche e intime del suo Paese, trasformando il dolore in eleganza cinematografica.
Una retrospettiva come manifesto culturale
La rassegna che celebra questa diplomazia lunga 75 anni non è solo un omaggio storico: è un invito a guardare oltre l’ovvio, ad aprirsi a una cinematografia sorprendente, complessa, sensuale, politica. Come scriveva Serge Daney nel 1981, “non è più tempo di ignorare questo cinema”. Oggi, finalmente, possiamo rispondere al suo appello con la curiosità che merita.





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