Segni di un’altra voce: L’invention d’une écriture. Le Plancher de Jeannot et les œuvres de…

Tempo stimato per la lettura: 3,4 minuti
Dal 10 settembre 2025 al 18 gennaio 2026, il Musée d’Art et d’Histoire de l’Hôpital Sainte‑Anne a Parigi presenta L’invention d’une écriture. Le Plancher de Jeannot et les œuvres de \[…], una mostra che riscrive i confini tra segno, testo e immagine. Al centro, Le Plancher de Jeannot, opera enigmatica e carnale di Jean Crampilh‑Broucaret, che non viene più trattata come semplice oggetto da osservare, ma come corpo vivo, vibrante, capace di dialogare con l’arte contemporanea.
Quel parquet inciso, ossessivo e struggente, non è solo testimonianza: è scrittura viva, confessione, una selva di lettere scolpite nel legno, tra urgenza e dolore.
Una curatela audace che unisce Claudia Méneux (curatrice indipendente specializzata in art brut e in pratiche d’archivio), insieme al servizio scientifico del Musée d’Art et d’Histoire de l’Hôpital Sainte‑Anne.
Artisti, riferimenti, contesti
L’esposizione non isola Le Plancher de Jeannot ma lo mette in risonanza con opere contemporanee dal dopoguerra agli anni 2000. Una costellazione di artisti attraversa lo spazio espositivo: Agnes Martin, Ghada Amer, Gordon Matta‑Clark, Marcel Broodthaers, Jean Dubuffet, Pablo Picasso, Brassaï, Niki de Saint Phalle, Roland Barthes, Henri Michaux, Antoni Tàpies, Lucio Fontana, Daniel Dezeuze, Pierre Buraglio, Günter Brus, solo per citarne alcuni. Linguaggi diversi, forme diverse, ma tutti accomunati da un’urgenza condivisa: trasformare il segno in gesto, il gesto in materia, la materia in verità.
Quattro traiettorie per attraversare il segno
Per orientare lo sguardo del visitatore, la mostra si costruisce intorno a quattro traiettorie tematiche, che invitano a esplorare in profondità il legame tra arte e scrittura. Si comincia con l’universo primordiale del segno, in Glifi, trame, lettere, parole e scritture, dove il linguaggio si manifesta nella sua forma più antica e viscerale, come traccia, ritmo, gesto ancestrale. Si prosegue con La lettera rubata, che mette in scena l’assenza: la scrittura come messaggio smarrito, frammentato, cancellato o volutamente nascosto, un codice che sfugge. In La messa in opera del supporto, il corpo stesso dell’opera — che sia legno, carta, muro o tessuto — si trasforma da semplice base a presenza viva, partecipante al processo creativo. Infine, La Casa introduce la dimensione più intima: lo spazio abitato, il rifugio della memoria, dove il segno diventa voce interiore, incisione affettiva, traccia silenziosa di un’esistenza.
Scrittura, segno, senso: una critica necessaria
Le Plancher de Jeannot è stato spesso relegato al mondo dell’arte psichiatrica, ma questa mostra ribalta la prospettiva. Non più il documento di un disagio, ma l’opera di un artista. Jean Crampilh‑Broucaret non “scriveva per guarire”, scriveva per esistere. Il segno era il suo strumento, la sua voce, la sua ribellione. Questo cambiamento di sguardo è fondamentale: non si tratta più di osservare, ma di ascoltare.
Materia incisa, lingua viva
Quando il segno incide la materia, il linguaggio si fa corpo. Il gesto non è più solo mentale, ma fisico, tattile, urgente. Le Plancher de Jeannot è come una pelle ferita e viva: ogni parola scolpita è una cicatrice, ogni riga una storia che non vuole più tacere. L’opera diventa un luogo, uno spazio da abitare con rispetto, un dispositivo visivo e poetico che parla con e oltre le parole.
Psichiatria, arte e la soglia della testimonianza
Il MAHHSA non espone solo un’opera, ma apre un discorso: su cosa significhi creare in uno spazio di dolore, su come l’arte possa essere gesto di salvezza, o almeno di sopravvivenza. Le Plancher de Jeannot diventa simbolo di resistenza, un atto artistico e umano insieme. La mostra non offre risposte, ma nuove domande: quanto possiamo comprendere del vissuto altrui attraverso la scrittura? E quando una scrittura incisa nel legno diventa arte, cosa resta della sofferenza che l’ha generata?
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Segni di un’altra voce: L’invention d’une écriture. Le Plancher de Jeannot et les œuvres de…
Tempo stimato per la lettura: 10 minuti
Dal 10 settembre 2025 al 18 gennaio 2026, il Musée d’Art et d’Histoire de l’Hôpital Sainte‑Anne a Parigi presenta L’invention d’une écriture. Le Plancher de Jeannot et les œuvres de \[…], una mostra che riscrive i confini tra segno, testo e immagine. Al centro, Le Plancher de Jeannot, opera enigmatica e carnale di Jean Crampilh‑Broucaret, che non viene più trattata come semplice oggetto da osservare, ma come corpo vivo, vibrante, capace di dialogare con l’arte contemporanea.
Quel parquet inciso, ossessivo e struggente, non è solo testimonianza: è scrittura viva, confessione, una selva di lettere scolpite nel legno, tra urgenza e dolore.
Una curatela audace che unisce Claudia Méneux (curatrice indipendente specializzata in art brut e in pratiche d’archivio), insieme al servizio scientifico del Musée d’Art et d’Histoire de l’Hôpital Sainte‑Anne.
Artisti, riferimenti, contesti
L’esposizione non isola Le Plancher de Jeannot ma lo mette in risonanza con opere contemporanee dal dopoguerra agli anni 2000. Una costellazione di artisti attraversa lo spazio espositivo: Agnes Martin, Ghada Amer, Gordon Matta‑Clark, Marcel Broodthaers, Jean Dubuffet, Pablo Picasso, Brassaï, Niki de Saint Phalle, Roland Barthes, Henri Michaux, Antoni Tàpies, Lucio Fontana, Daniel Dezeuze, Pierre Buraglio, Günter Brus, solo per citarne alcuni. Linguaggi diversi, forme diverse, ma tutti accomunati da un’urgenza condivisa: trasformare il segno in gesto, il gesto in materia, la materia in verità.
Quattro traiettorie per attraversare il segno
Per orientare lo sguardo del visitatore, la mostra si costruisce intorno a quattro traiettorie tematiche, che invitano a esplorare in profondità il legame tra arte e scrittura. Si comincia con l’universo primordiale del segno, in Glifi, trame, lettere, parole e scritture, dove il linguaggio si manifesta nella sua forma più antica e viscerale, come traccia, ritmo, gesto ancestrale. Si prosegue con La lettera rubata, che mette in scena l’assenza: la scrittura come messaggio smarrito, frammentato, cancellato o volutamente nascosto, un codice che sfugge. In La messa in opera del supporto, il corpo stesso dell’opera — che sia legno, carta, muro o tessuto — si trasforma da semplice base a presenza viva, partecipante al processo creativo. Infine, La Casa introduce la dimensione più intima: lo spazio abitato, il rifugio della memoria, dove il segno diventa voce interiore, incisione affettiva, traccia silenziosa di un’esistenza.
Scrittura, segno, senso: una critica necessaria
Le Plancher de Jeannot è stato spesso relegato al mondo dell’arte psichiatrica, ma questa mostra ribalta la prospettiva. Non più il documento di un disagio, ma l’opera di un artista. Jean Crampilh‑Broucaret non “scriveva per guarire”, scriveva per esistere. Il segno era il suo strumento, la sua voce, la sua ribellione. Questo cambiamento di sguardo è fondamentale: non si tratta più di osservare, ma di ascoltare.
Materia incisa, lingua viva
Quando il segno incide la materia, il linguaggio si fa corpo. Il gesto non è più solo mentale, ma fisico, tattile, urgente. Le Plancher de Jeannot è come una pelle ferita e viva: ogni parola scolpita è una cicatrice, ogni riga una storia che non vuole più tacere. L’opera diventa un luogo, uno spazio da abitare con rispetto, un dispositivo visivo e poetico che parla con e oltre le parole.
Psichiatria, arte e la soglia della testimonianza
Il MAHHSA non espone solo un’opera, ma apre un discorso: su cosa significhi creare in uno spazio di dolore, su come l’arte possa essere gesto di salvezza, o almeno di sopravvivenza. Le Plancher de Jeannot diventa simbolo di resistenza, un atto artistico e umano insieme. La mostra non offre risposte, ma nuove domande: quanto possiamo comprendere del vissuto altrui attraverso la scrittura? E quando una scrittura incisa nel legno diventa arte, cosa resta della sofferenza che l’ha generata?
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