Un’estate tropicale a Parigi con Disco di Vivian Suter

Tempo stimato per la lettura: 3,6 minuti
C’è qualcosa di sorprendente, di disarmante e profondamente autentico nel portare la giungla all’interno di un museo. È quello che succede questa estate al Palais de Tokyo, dove, dal 12 giugno al 7 settembre 2025, prende vita Disco, l’esposizione monumentale dell’artista argentino-svizzera Vivian Suter. Quasi 500 tele libere, fluttuanti, stratificate e intrise di pioggia, terra e sole guatemalteco, occupano lo spazio della Grande Verrière in un allestimento che rifiuta ogni forma di gerarchia. Siamo di fronte a un ambiente vivo, instabile, umido, dove l’arte respira al ritmo della natura.
L’arte come ecosistema
Nata nel 1949 a Buenos Aires, cresciuta a Basilea, e da oltre quarant’anni radicata a Panajachel, sulle rive del lago Atitlán in Guatemala, Vivian Suter ha fatto della pittura un atto quotidiano e del suo giardino tropicale un’estensione del suo studio. Le sue tele non hanno cornici, né date, né titoli: vengono lasciate all’aria aperta, sotto la pioggia, tra le zampate dei suoi cani e la caduta casuale di foglie e rami. A volte, la pittura viene dilavata da un temporale; altre, è il sole a segnare l’opera con il tempo. L’opera d’arte, per Suter, non è mai solo sua: è una co-creazione con l’ambiente.
La libertà di non appartenere
Disco è una celebrazione della sua pratica radicalmente indipendente. Una pittura gestuale, organica, immediata. Nulla è contenuto, nulla è spiegato: l’osservatore è immerso in una giungla visiva, tra tele appese senza senso obbligato, che si muovono con l’aria e si lasciano toccare dalla luce. Alcune si accavallano, altre sembrano mimetizzarsi tra le strutture metalliche che riproducono l’atelier di Suter in Guatemala. Non si tratta di “guardare” ogni tela, ma di perdersi nell’insieme, lasciandosi guidare da una visione più sensoriale che analitica.
Ritratto di un’artista in fuga (dal sistema)
Vivian Suter ha scelto il margine. Dopo una formazione a Basilea e un inizio promettente nel sistema artistico europeo, negli anni ’80 ha preso una decisione controcorrente: fuggire dai centri dell’arte contemporanea, lasciarsi alle spalle fiere, gallerie, collezionisti, per cercare un altro modo di essere artista. Per decenni è rimasta in ombra, fuori dal radar, sostenuta solo dalla famiglia. Ma il destino aveva altri piani: nel 2017, la sua riscoperta grazie alla Documenta di Kassel ha segnato l’inizio di una nuova visibilità. Oggi, Suter è esposta nei più grandi musei del mondo — ma senza mai aver ceduto nulla della sua autenticità.
Una mostra, due voci
Accanto alle opere di Vivian, spiccano anche i collages della madre, Elisabeth Wild (1922–2020), artista a sua volta, trasferitasi in Guatemala a 80 anni per vivere con la figlia. I suoi lavori piccoli, geometrici e silenziosi offrono un contrappunto intimo e delicato al caos naturale delle tele della figlia. Un dialogo intergenerazionale, fatto di sussurri e tagli di carta, che aggiunge alla mostra un livello di tenerezza e memoria.
Disco: un titolo, mille letture
Disco, un titolo semplice, evocativo, che può essere inteso come danza, rotazione, suono o riflessione luminosa. Come le opere stesse, non ha una lettura univoca. Potrebbe evocare il ritmo con cui Vivian Suter dipinge — ogni giorno, come un rituale — o la forma tonda del sole tropicale che asciuga i pigmenti. Ma è anche un invito: lasciare che l’arte si muova, che si contamini, che perda l’equilibrio per trovarne uno nuovo.
Un’estetica della vita vissuta
Al Palais de Tokyo, la pittura di Vivian Suter non si osserva, si attraversa. È polvere, vento, umidità, improvvisazione. È una pittura che accoglie l’imperfezione, che racconta la fragilità e la resistenza, l’istinto e la pazienza. Che rifiuta il controllo in favore della sorpresa. Che si sporca. Che respira.
Un antidoto alla sterilità del white cube, una lezione di libertà. O, come direbbe lei stessa, un modo per lasciare entrare il mondo.
Immagini: Vue d’exposition,Vivian Suter, «Disco», Palais de Tokyo (Paris),12.06-07.09.2025Copyright Vivian SuterCourtesydeKarma International, Zurich; Gladstone, New York / Bruxelles / Séoul; Gaga,Mexico DF; Proyectos Ultravioleta, GuatemalaCityCrédit photo: Aurélien Mole
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Un’estate tropicale a Parigi con Disco di Vivian Suter
Tempo stimato per la lettura: 11 minuti
C’è qualcosa di sorprendente, di disarmante e profondamente autentico nel portare la giungla all’interno di un museo. È quello che succede questa estate al Palais de Tokyo, dove, dal 12 giugno al 7 settembre 2025, prende vita Disco, l’esposizione monumentale dell’artista argentino-svizzera Vivian Suter. Quasi 500 tele libere, fluttuanti, stratificate e intrise di pioggia, terra e sole guatemalteco, occupano lo spazio della Grande Verrière in un allestimento che rifiuta ogni forma di gerarchia. Siamo di fronte a un ambiente vivo, instabile, umido, dove l’arte respira al ritmo della natura.
L’arte come ecosistema
Nata nel 1949 a Buenos Aires, cresciuta a Basilea, e da oltre quarant’anni radicata a Panajachel, sulle rive del lago Atitlán in Guatemala, Vivian Suter ha fatto della pittura un atto quotidiano e del suo giardino tropicale un’estensione del suo studio. Le sue tele non hanno cornici, né date, né titoli: vengono lasciate all’aria aperta, sotto la pioggia, tra le zampate dei suoi cani e la caduta casuale di foglie e rami. A volte, la pittura viene dilavata da un temporale; altre, è il sole a segnare l’opera con il tempo. L’opera d’arte, per Suter, non è mai solo sua: è una co-creazione con l’ambiente.
La libertà di non appartenere
Disco è una celebrazione della sua pratica radicalmente indipendente. Una pittura gestuale, organica, immediata. Nulla è contenuto, nulla è spiegato: l’osservatore è immerso in una giungla visiva, tra tele appese senza senso obbligato, che si muovono con l’aria e si lasciano toccare dalla luce. Alcune si accavallano, altre sembrano mimetizzarsi tra le strutture metalliche che riproducono l’atelier di Suter in Guatemala. Non si tratta di “guardare” ogni tela, ma di perdersi nell’insieme, lasciandosi guidare da una visione più sensoriale che analitica.
Ritratto di un’artista in fuga (dal sistema)
Vivian Suter ha scelto il margine. Dopo una formazione a Basilea e un inizio promettente nel sistema artistico europeo, negli anni ’80 ha preso una decisione controcorrente: fuggire dai centri dell’arte contemporanea, lasciarsi alle spalle fiere, gallerie, collezionisti, per cercare un altro modo di essere artista. Per decenni è rimasta in ombra, fuori dal radar, sostenuta solo dalla famiglia. Ma il destino aveva altri piani: nel 2017, la sua riscoperta grazie alla Documenta di Kassel ha segnato l’inizio di una nuova visibilità. Oggi, Suter è esposta nei più grandi musei del mondo — ma senza mai aver ceduto nulla della sua autenticità.
Una mostra, due voci
Accanto alle opere di Vivian, spiccano anche i collages della madre, Elisabeth Wild (1922–2020), artista a sua volta, trasferitasi in Guatemala a 80 anni per vivere con la figlia. I suoi lavori piccoli, geometrici e silenziosi offrono un contrappunto intimo e delicato al caos naturale delle tele della figlia. Un dialogo intergenerazionale, fatto di sussurri e tagli di carta, che aggiunge alla mostra un livello di tenerezza e memoria.
Disco: un titolo, mille letture
Disco, un titolo semplice, evocativo, che può essere inteso come danza, rotazione, suono o riflessione luminosa. Come le opere stesse, non ha una lettura univoca. Potrebbe evocare il ritmo con cui Vivian Suter dipinge — ogni giorno, come un rituale — o la forma tonda del sole tropicale che asciuga i pigmenti. Ma è anche un invito: lasciare che l’arte si muova, che si contamini, che perda l’equilibrio per trovarne uno nuovo.
Un’estetica della vita vissuta
Al Palais de Tokyo, la pittura di Vivian Suter non si osserva, si attraversa. È polvere, vento, umidità, improvvisazione. È una pittura che accoglie l’imperfezione, che racconta la fragilità e la resistenza, l’istinto e la pazienza. Che rifiuta il controllo in favore della sorpresa. Che si sporca. Che respira.
Un antidoto alla sterilità del white cube, una lezione di libertà. O, come direbbe lei stessa, un modo per lasciare entrare il mondo.
Immagini: Vue d’exposition,Vivian Suter, «Disco», Palais de Tokyo (Paris),12.06-07.09.2025Copyright Vivian SuterCourtesydeKarma International, Zurich; Gladstone, New York / Bruxelles / Séoul; Gaga,Mexico DF; Proyectos Ultravioleta, GuatemalaCityCrédit photo: Aurélien Mole
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