Animalism di Roger Ballen: il teatro oscuro dell’inconscio al Mattatoio di Roma

Tempo stimato per la lettura: 3,2 minuti
C’è una soglia che si attraversa al Padiglione 9A del Mattatoio di Roma, e non è semplicemente quella di una mostra. Dal 27 maggio al 27 luglio 2025, Animalism di Roger Ballen – uno degli artisti visivi più disturbanti e iconici del nostro tempo – si impossessa dello spazio, lo piega alla propria volontà scenica e trasforma un ex macello in un palcoscenico dell’inconscio. Curata da Alessandro Dandini de Sylva con Marguerite Rossouw, e accompagnata da un’installazione sonora ipnotica di Cobi van Tonder, la mostra è più una discesa in un altrove che un’esposizione tradizionale.
L’animale dentro l’uomo
Da oltre vent’anni, Ballen scava nell’ombra del rapporto tra l’essere umano e l’animale. In Animalism, la distinzione tra umano e bestiale si fa porosa, labile, a tratti inesistente. I suoi scatti, tra il grottesco e il poetico, incarnano una verità perturbante: la bestia è dentro di noi, nella carne e nella mente. In questa installazione, l’ambiente del Mattatoio – luogo di mattanza e simbolo del dominio dell’uomo sulla natura – non è solo contenitore, ma co-protagonista. Lo spazio diventa ferita architettonica e memoria viscerale.
Un percorso immersivo tra ombre e apparizioni
La mostra si articola in tre ambienti che dilatano la percezione e manipolano il tempo. Si apre con una selezione di 21 fotografie (1996–2016), poi si entra in uno spazio centrale immerso nel buio, abitato da otto proiettori asincroni che animano oltre 80 immagini dai suoi celebri cicli come Outland, Shadow Chamber, Asylum of the Birds e Roger’s Rats. Il percorso si chiude con la serie Apparitions: lightbox, videoanimazioni, immagini che sembrano dissolversi nella soglia tra pittura, sogno e allucinazione. L’installazione diventa esperienza psicosensoriale, più che visione.
Dal documento alla visione
Le immagini di Ballen non si lasciano semplicemente osservare: si infiltrano. Seguono un ordine cronologico che racconta l’evoluzione del suo linguaggio: dalla fotografia documentaria iniziale alle scenografie allucinate, fino alle opere più recenti, teatrali, ibride, quasi pittoriche. La fotografia, per Ballen, non è uno strumento di verità, ma di scavo. Di indagine nel territorio fragile dell’identità. L’estetica è quella del bianco e nero violento, quasi graffiato: un segno che parla più all’inconscio che alla mente.
Il legame con Giacomelli
Non è un caso se Ballen compare anche nella mostra Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista al Palazzo delle Esposizioni. Più volte ha dichiarato quanto il fotografo marchigiano abbia influenzato il suo sguardo. In entrambi, la fotografia non è rappresentazione ma visione; non cattura la realtà, la trasfigura. La materia fotografica diventa carne, e la carne diventa psiche. Una corrispondenza elettiva tra due artisti che hanno dato corpo all’invisibile.
Leggi anche: Mario Giacomelli: la fotografia come rivoluzione artistica
Un artista dentro il tempo
Roger Ballen, nato a New York nel 1950 e residente in Sudafrica dal 1982, è una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea. Le sue opere abitano i musei più prestigiosi del mondo – dal MoMA al Centre Pompidou – e parlano un linguaggio ibrido che mescola fotografia, disegno, installazione, teatro e psicoanalisi. Rappresentato in Italia dalla galleria BUILDING di Milano, parteciperà anche al Festival des Cabanes 2025 con una sua installazione a Villa Medici, Roma.
Un catalogo come mappa mentale
Ad accompagnare Animalism, un catalogo edito da Quodlibet, progettato da Filippo Nostri: un oggetto editoriale pensato come mappa dell’ossessione balleniana. Dentro, una conversazione tra l’artista e il curatore Dandini de Sylva, e tutte le immagini in mostra, come un atlante di mostruose bellezze.
Crediti foto:
- © Roger Ballen, Broken bag, 2003
- © Roger Ballen, Brian with pet pig, 1998
- © Roger Ballen, Cat catcher, 1998
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Animalism di Roger Ballen: il teatro oscuro dell’inconscio al Mattatoio di Roma
Tempo stimato per la lettura: 10 minuti
C’è una soglia che si attraversa al Padiglione 9A del Mattatoio di Roma, e non è semplicemente quella di una mostra. Dal 27 maggio al 27 luglio 2025, Animalism di Roger Ballen – uno degli artisti visivi più disturbanti e iconici del nostro tempo – si impossessa dello spazio, lo piega alla propria volontà scenica e trasforma un ex macello in un palcoscenico dell’inconscio. Curata da Alessandro Dandini de Sylva con Marguerite Rossouw, e accompagnata da un’installazione sonora ipnotica di Cobi van Tonder, la mostra è più una discesa in un altrove che un’esposizione tradizionale.
L’animale dentro l’uomo
Da oltre vent’anni, Ballen scava nell’ombra del rapporto tra l’essere umano e l’animale. In Animalism, la distinzione tra umano e bestiale si fa porosa, labile, a tratti inesistente. I suoi scatti, tra il grottesco e il poetico, incarnano una verità perturbante: la bestia è dentro di noi, nella carne e nella mente. In questa installazione, l’ambiente del Mattatoio – luogo di mattanza e simbolo del dominio dell’uomo sulla natura – non è solo contenitore, ma co-protagonista. Lo spazio diventa ferita architettonica e memoria viscerale.
Un percorso immersivo tra ombre e apparizioni
La mostra si articola in tre ambienti che dilatano la percezione e manipolano il tempo. Si apre con una selezione di 21 fotografie (1996–2016), poi si entra in uno spazio centrale immerso nel buio, abitato da otto proiettori asincroni che animano oltre 80 immagini dai suoi celebri cicli come Outland, Shadow Chamber, Asylum of the Birds e Roger’s Rats. Il percorso si chiude con la serie Apparitions: lightbox, videoanimazioni, immagini che sembrano dissolversi nella soglia tra pittura, sogno e allucinazione. L’installazione diventa esperienza psicosensoriale, più che visione.
Dal documento alla visione
Le immagini di Ballen non si lasciano semplicemente osservare: si infiltrano. Seguono un ordine cronologico che racconta l’evoluzione del suo linguaggio: dalla fotografia documentaria iniziale alle scenografie allucinate, fino alle opere più recenti, teatrali, ibride, quasi pittoriche. La fotografia, per Ballen, non è uno strumento di verità, ma di scavo. Di indagine nel territorio fragile dell’identità. L’estetica è quella del bianco e nero violento, quasi graffiato: un segno che parla più all’inconscio che alla mente.
Il legame con Giacomelli
Non è un caso se Ballen compare anche nella mostra Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista al Palazzo delle Esposizioni. Più volte ha dichiarato quanto il fotografo marchigiano abbia influenzato il suo sguardo. In entrambi, la fotografia non è rappresentazione ma visione; non cattura la realtà, la trasfigura. La materia fotografica diventa carne, e la carne diventa psiche. Una corrispondenza elettiva tra due artisti che hanno dato corpo all’invisibile.
Leggi anche: Mario Giacomelli: la fotografia come rivoluzione artistica
Un artista dentro il tempo
Roger Ballen, nato a New York nel 1950 e residente in Sudafrica dal 1982, è una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea. Le sue opere abitano i musei più prestigiosi del mondo – dal MoMA al Centre Pompidou – e parlano un linguaggio ibrido che mescola fotografia, disegno, installazione, teatro e psicoanalisi. Rappresentato in Italia dalla galleria BUILDING di Milano, parteciperà anche al Festival des Cabanes 2025 con una sua installazione a Villa Medici, Roma.
Un catalogo come mappa mentale
Ad accompagnare Animalism, un catalogo edito da Quodlibet, progettato da Filippo Nostri: un oggetto editoriale pensato come mappa dell’ossessione balleniana. Dentro, una conversazione tra l’artista e il curatore Dandini de Sylva, e tutte le immagini in mostra, come un atlante di mostruose bellezze.
Crediti foto:
- © Roger Ballen, Broken bag, 2003
- © Roger Ballen, Brian with pet pig, 1998
- © Roger Ballen, Cat catcher, 1998
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