Lorenzo Bonechi in mostra al Museo Novecento celebra l’anima femminile della pittura a settant’anni dalla sua nascita

About the Author: Redazione ViviCreativo

Published On: 13 Agosto 2025

Tempo stimato per la lettura: 4 minuti

È un’estate calda e sospesa, quella che accoglie La città delle donne Museo Novecento a Firenze. Dal 4 luglio al 29 ottobre 2025, le sale rinascimentali si fanno scrigno di silenzio e luce, per accogliere venticinque opere di Lorenzo Bonechi, artista colto e visionario, nato a Figline Valdarno nel 1955 e scomparso prematuramente nel 1994. La mostra, curata da Sergio Risaliti ed Eva Francioli in collaborazione con l’Archivio Lorenzo Bonechi, è un gesto d’amore, una restituzione poetica e necessaria, un atto di riposizionamento storico per un artista che ha saputo abitare il tempo con lentezza e ardore.

Un’anima tra cielo e terra

Bonechi si affaccia sulla scena artistica italiana alla fine degli anni Settanta, ma è negli Ottanta, in piena epoca di Transavanguardia e Pittura colta, che la sua voce si afferma con limpida coerenza. Dal disegno alla scultura, passando per l’incisione, è nella pittura che trova la sua vera vocazione. A partire dal 1982, la sua ricerca si fa quasi esclusivamente pittorica: una pittura disciplinata e vibrante, eseguita a tempera e olio, dove ogni figura è una soglia tra il visibile e l’invisibile.

Le donne di Bonechi, protagoniste assolute della mostra, non sono semplici muse. Sono epifanie. Sono madri e sante, sorelle e veggenti, portatrici di una grazia antica e moderna. Eteree ma concrete, sembrano uscite da un’icona bizantina o da un sogno trecentesco, eppure indossano abiti contemporanei, parlano con gli occhi di chi ha abitato davvero questo mondo.

Geometria del sacro, architettura dell’assoluto

Le Città celesti che fanno da sfondo a queste figure si stagliano con rigore ascetico. Ridotte all’essenza, illuminate da una luce interiore, sono architetture che ricordano Gerusalemme, “pronta come una sposa per il suo sposo”, per dirla con l’Apocalisse. Bonechi non costruisce città: le sogna. Le pensa come corpi mistici, come visioni che discendono dall’alto, come promesse di una bellezza futura.

I paesaggi toscani — quelli reali, di Figline, delle colline e dei borghi — diventano simboli. Sospesi, idealizzati, trasfigurati. Come in un affresco medievale, la composizione si fa preghiera visiva, equilibrio di pieni e vuoti, silenzio che parla. Ogni colore, ogni linea, ogni gesto pittorico è misurato, ma mai freddo: vibra della stessa intensità spirituale che ha animato le icone russe, i fondi oro, le vesti dei santi.

Donne, sorelle, rivelazioni

La città delle donne è anche un’idea. Un luogo mentale, simbolico. Dove il femminile si fa principio attivo, generativo, salvifico. Le figure di Bonechi — ieratiche ma umane — raccontano una sorellanza nuova, mistica e civile insieme. La curatrice Eva Francioli le osserva come corpi in bilico tra il cielo e la terra, tra la carne e l’idea, tra il presente e l’eterno.

Nei suoi diari, Bonechi scriveva delle Korai greche come “corpi umani in cui si vuol esaltare la più perfetta delle forme create”. Ecco, le sue donne sembrano discendere da quella stessa intuizione: una forma pura, amata dagli dei, eternamente in posa, eternamente viva.

Una pittura fuori dal tempo, dentro la storia

La parabola di Bonechi si compie in silenzio, lontano dai clamori. Ma la sua arte parla forte. La Biennale di Venezia del 1995 lo celebra postumo. Le sue opere viaggiano: Tokyo, Londra, Washington, New York. Entrano nelle collezioni di prestigio — dalla Tate Britain al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi — portando con sé un’idea di arte come meditazione, come verità sospesa tra forma e spirito.

Come afferma Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento:
“Bonechi ha saputo evocare una dimensione altra, dove la pittura si fa soglia verso il sacro. Le sue figure femminili ci guidano in un viaggio iniziatico: affondano le radici nel Trecento, si stagliano nel silenzio delle icone bizantine, e diventano parabole universali di bellezza e rivelazione.”

Un ritorno necessario

A settant’anni dalla nascita di Lorenzo Bonechi, Firenze si inchina davanti a un artista che ha saputo trasformare il disegno in preghiera, il colore in voce dell’anima, la pittura in gesto assoluto. La città delle donne non è solo una mostra. È un invito al raccoglimento, una celebrazione della bellezza invisibile, un atto politico nel senso più alto e spirituale del termine.

Nel cuore di Firenze, tra le pareti del Museo Novecento, si apre oggi una porta. Oltre quella soglia, c’è il mondo di Bonechi. Un mondo che sa ancora commuovere, consolare, rivelare. Un mondo dove la pittura — finalmente — torna a farsi sacro rifugio.

 

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About the Author: Redazione ViviCreativo

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È un’estate calda e sospesa, quella che accoglie La città delle donne Museo Novecento a Firenze. Dal 4 luglio al 29 ottobre 2025, le sale rinascimentali si fanno scrigno di silenzio e luce, per accogliere venticinque opere di Lorenzo Bonechi, artista colto e visionario, nato a Figline Valdarno nel 1955 e scomparso prematuramente nel 1994. La mostra, curata da Sergio Risaliti ed Eva Francioli in collaborazione con l’Archivio Lorenzo Bonechi, è un gesto d’amore, una restituzione poetica e necessaria, un atto di riposizionamento storico per un artista che ha saputo abitare il tempo con lentezza e ardore.

Un’anima tra cielo e terra

Bonechi si affaccia sulla scena artistica italiana alla fine degli anni Settanta, ma è negli Ottanta, in piena epoca di Transavanguardia e Pittura colta, che la sua voce si afferma con limpida coerenza. Dal disegno alla scultura, passando per l’incisione, è nella pittura che trova la sua vera vocazione. A partire dal 1982, la sua ricerca si fa quasi esclusivamente pittorica: una pittura disciplinata e vibrante, eseguita a tempera e olio, dove ogni figura è una soglia tra il visibile e l’invisibile.

Le donne di Bonechi, protagoniste assolute della mostra, non sono semplici muse. Sono epifanie. Sono madri e sante, sorelle e veggenti, portatrici di una grazia antica e moderna. Eteree ma concrete, sembrano uscite da un’icona bizantina o da un sogno trecentesco, eppure indossano abiti contemporanei, parlano con gli occhi di chi ha abitato davvero questo mondo.

Geometria del sacro, architettura dell’assoluto

Le Città celesti che fanno da sfondo a queste figure si stagliano con rigore ascetico. Ridotte all’essenza, illuminate da una luce interiore, sono architetture che ricordano Gerusalemme, “pronta come una sposa per il suo sposo”, per dirla con l’Apocalisse. Bonechi non costruisce città: le sogna. Le pensa come corpi mistici, come visioni che discendono dall’alto, come promesse di una bellezza futura.

I paesaggi toscani — quelli reali, di Figline, delle colline e dei borghi — diventano simboli. Sospesi, idealizzati, trasfigurati. Come in un affresco medievale, la composizione si fa preghiera visiva, equilibrio di pieni e vuoti, silenzio che parla. Ogni colore, ogni linea, ogni gesto pittorico è misurato, ma mai freddo: vibra della stessa intensità spirituale che ha animato le icone russe, i fondi oro, le vesti dei santi.

Donne, sorelle, rivelazioni

La città delle donne è anche un’idea. Un luogo mentale, simbolico. Dove il femminile si fa principio attivo, generativo, salvifico. Le figure di Bonechi — ieratiche ma umane — raccontano una sorellanza nuova, mistica e civile insieme. La curatrice Eva Francioli le osserva come corpi in bilico tra il cielo e la terra, tra la carne e l’idea, tra il presente e l’eterno.

Nei suoi diari, Bonechi scriveva delle Korai greche come “corpi umani in cui si vuol esaltare la più perfetta delle forme create”. Ecco, le sue donne sembrano discendere da quella stessa intuizione: una forma pura, amata dagli dei, eternamente in posa, eternamente viva.

Una pittura fuori dal tempo, dentro la storia

La parabola di Bonechi si compie in silenzio, lontano dai clamori. Ma la sua arte parla forte. La Biennale di Venezia del 1995 lo celebra postumo. Le sue opere viaggiano: Tokyo, Londra, Washington, New York. Entrano nelle collezioni di prestigio — dalla Tate Britain al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi — portando con sé un’idea di arte come meditazione, come verità sospesa tra forma e spirito.

Come afferma Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento:
“Bonechi ha saputo evocare una dimensione altra, dove la pittura si fa soglia verso il sacro. Le sue figure femminili ci guidano in un viaggio iniziatico: affondano le radici nel Trecento, si stagliano nel silenzio delle icone bizantine, e diventano parabole universali di bellezza e rivelazione.”

Un ritorno necessario

A settant’anni dalla nascita di Lorenzo Bonechi, Firenze si inchina davanti a un artista che ha saputo trasformare il disegno in preghiera, il colore in voce dell’anima, la pittura in gesto assoluto. La città delle donne non è solo una mostra. È un invito al raccoglimento, una celebrazione della bellezza invisibile, un atto politico nel senso più alto e spirituale del termine.

Nel cuore di Firenze, tra le pareti del Museo Novecento, si apre oggi una porta. Oltre quella soglia, c’è il mondo di Bonechi. Un mondo che sa ancora commuovere, consolare, rivelare. Un mondo dove la pittura — finalmente — torna a farsi sacro rifugio.

 

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