Quando Fellini sognava Picasso alla Cineteca di Parigi

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 2 Aprile 2019

Tempo stimato per la lettura: 3,8 minuti

 

È un vero incontro tra due grandi artisti del XX° secolo quello che propone la Cineteca di Parigi con la mostra Quando Fellini sognava Picasso, dal 3 aprile al 28 luglio 2019, che associa il maestro del cinema italiano al padre del cubismo, per il quale Fellini ha avuto un’ammirazione sconfinata.

Pensato come un dialogo immaginario e senza tempo tra i due artisti, il percorso mette in luce i soggetti che entrambi hanno amato e che hanno continuamente ispirato le rispettive opere: antichità, donne, sessualità, danza, corrida e circo. Personaggi archetipici che si spostano avanti e indietro tra tela e pellicola: clown e arlecchini, amanti e prostitute, minotauri e altri riferimenti mitologici e onirici.

Estratti di film, poster giganteschi, fotografie d’epoca, costumi di scena, a cui si aggiungono una sessantina di dipinti, disegni e incisioni firmati dal pittore spagnolo, insieme ai bozzetti disegnati dalla mano di Fellini, possono essere ammirati in quest’esposizione.

Su invito del suo psicanalista, Ernst Bernhardt, il regista italiano disegnava e descriveva i propri sogni in vari quaderni, pubblicati come antologia in due volumi nel 1960 e nel 1990 con il titolo Il libro dei miei sogni. L’immaginario da lui creato vede Picasso come un vecchio amico e maestro artistico in diverse occasioni.

Il pittore è rappresentato in un primo sogno del 22 gennaio 1962 in cui Fellini e la moglie Giulietta Masina visitano la sua casa. Nelle sue memorie, il cineasta afferma che erano in cucina «piena di cibo, dipinti, colori» e che hanno parlato tutta la notte. Cinque anni più tardi, il 18 gennaio del 1967, sogna di nuovo di Picasso descrivendolo: «Come un fratello più grande, un padre artistico, un collega che mi stima alla pari, uno della stassa casta…». Nel 1968 lo sogna, in relazione a una notizia della sua falsa morte, ma senza disegnarlo. Infine, l’ultimo sogno, in cui gli appare, è del 1980.

Dopo la prima tappa con Il libro dei miei sogni, il percorso continua in via Margutta a Roma, strada dove entrambi vissero in momenti diversi della loro vita, per passare alla comune passione per l’antichità classica, greca e romana, a cui si ispirarono entrambi.

Al centro del percorso scenografico campeggia un tendone da circo dove sono esposte le maschere create da Danilo Donati per Fellini Satyricon (1969) incredibilmente simili alle maschere africane che Picasso collezionava. Sotto il tendone anche alcuni schizzi dell’artista spagnolo raffiguranti personaggi clowneschi affiancati dal magnifico poster del film I pagliacci (1970).

Segue una riflessione sulla forte presenza delle donne nel loro lavoro: inizia un viaggio onirico in cui sono rappresentate come figure divine, terribili e sublimi, delicatamente sensuali o profondamente carnali, irrascibili o calme.

Il libro dei miei sogni rivela soprattutto le qualità plastiche di un uomo del cinema che è stato anche un eccellente disegnatore e pittore. Facendo eco a questo legame di Fellini tra cinema e pittura, la mostra pone l’attenzione anche sul rapporto di Picasso con il cinema: Picasso, regista di un cortometraggio ormai scomparso, o complice di Henri-George Clouzot ne Il mistero Picasso in cui l’artista dipinge su un vetro, ripreso in trasparenza da una fotocamera frontale, come se volesse impregnare direttamente la pellicola.

Per Fellini il cinema è un alleato della pittura, poiché entrambi non possono esistere senza luce: «Per me il cinema è immagine e la luce è il suo fattore fondamentale. L’ho detto molte volte: nel cinema la luce è ideologia, sentimento, colore, tono, profondità, atmosfera, narrazione».

Nel 1955, due anni dopo la grande mostra che Roma dedica al pittore iberico alla Galleria Nazionale di Roma, Fellini, ne Il bidone, assegna il soprannome di “Picasso” al personaggio di Raoul, un pittore mancato: da questa forma quasi di trasgressione di fronte a questa cifra totemica, il regista sembra continuare il suo dialogo con l’artista plastico.

Pur avendo delle amicizie in comune i due non si sono mai incontrati. A chiudere la mostra una “costellazione” dei luoghi che hanno frequentato, che rivela quanto il loro viaggio sia stato pieno di opportunità e d’incontri mancati.

Quando Fellini sognava Picasso è un’immersione nel deboradante mondo onirico e fantasmagorico, nei labirinti dell’inconscio, alla ricerca delle fonti delle visioni e dei processi creativi. Un bell’omaggio all’influenza che Picasso ha avuto nella cinematografia dell’autore riminese.

 

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Published On: 2 Aprile 2019

About the Author: Cristina Biordi

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È un vero incontro tra due grandi artisti del XX° secolo quello che propone la Cineteca di Parigi con la mostra Quando Fellini sognava Picasso, dal 3 aprile al 28 luglio 2019, che associa il maestro del cinema italiano al padre del cubismo, per il quale Fellini ha avuto un’ammirazione sconfinata.

Pensato come un dialogo immaginario e senza tempo tra i due artisti, il percorso mette in luce i soggetti che entrambi hanno amato e che hanno continuamente ispirato le rispettive opere: antichità, donne, sessualità, danza, corrida e circo. Personaggi archetipici che si spostano avanti e indietro tra tela e pellicola: clown e arlecchini, amanti e prostitute, minotauri e altri riferimenti mitologici e onirici.

Estratti di film, poster giganteschi, fotografie d’epoca, costumi di scena, a cui si aggiungono una sessantina di dipinti, disegni e incisioni firmati dal pittore spagnolo, insieme ai bozzetti disegnati dalla mano di Fellini, possono essere ammirati in quest’esposizione.

Su invito del suo psicanalista, Ernst Bernhardt, il regista italiano disegnava e descriveva i propri sogni in vari quaderni, pubblicati come antologia in due volumi nel 1960 e nel 1990 con il titolo Il libro dei miei sogni. L’immaginario da lui creato vede Picasso come un vecchio amico e maestro artistico in diverse occasioni.

Il pittore è rappresentato in un primo sogno del 22 gennaio 1962 in cui Fellini e la moglie Giulietta Masina visitano la sua casa. Nelle sue memorie, il cineasta afferma che erano in cucina «piena di cibo, dipinti, colori» e che hanno parlato tutta la notte. Cinque anni più tardi, il 18 gennaio del 1967, sogna di nuovo di Picasso descrivendolo: «Come un fratello più grande, un padre artistico, un collega che mi stima alla pari, uno della stassa casta…». Nel 1968 lo sogna, in relazione a una notizia della sua falsa morte, ma senza disegnarlo. Infine, l’ultimo sogno, in cui gli appare, è del 1980.

Dopo la prima tappa con Il libro dei miei sogni, il percorso continua in via Margutta a Roma, strada dove entrambi vissero in momenti diversi della loro vita, per passare alla comune passione per l’antichità classica, greca e romana, a cui si ispirarono entrambi.

Al centro del percorso scenografico campeggia un tendone da circo dove sono esposte le maschere create da Danilo Donati per Fellini Satyricon (1969) incredibilmente simili alle maschere africane che Picasso collezionava. Sotto il tendone anche alcuni schizzi dell’artista spagnolo raffiguranti personaggi clowneschi affiancati dal magnifico poster del film I pagliacci (1970).

Segue una riflessione sulla forte presenza delle donne nel loro lavoro: inizia un viaggio onirico in cui sono rappresentate come figure divine, terribili e sublimi, delicatamente sensuali o profondamente carnali, irrascibili o calme.

Il libro dei miei sogni rivela soprattutto le qualità plastiche di un uomo del cinema che è stato anche un eccellente disegnatore e pittore. Facendo eco a questo legame di Fellini tra cinema e pittura, la mostra pone l’attenzione anche sul rapporto di Picasso con il cinema: Picasso, regista di un cortometraggio ormai scomparso, o complice di Henri-George Clouzot ne Il mistero Picasso in cui l’artista dipinge su un vetro, ripreso in trasparenza da una fotocamera frontale, come se volesse impregnare direttamente la pellicola.

Per Fellini il cinema è un alleato della pittura, poiché entrambi non possono esistere senza luce: «Per me il cinema è immagine e la luce è il suo fattore fondamentale. L’ho detto molte volte: nel cinema la luce è ideologia, sentimento, colore, tono, profondità, atmosfera, narrazione».

Nel 1955, due anni dopo la grande mostra che Roma dedica al pittore iberico alla Galleria Nazionale di Roma, Fellini, ne Il bidone, assegna il soprannome di “Picasso” al personaggio di Raoul, un pittore mancato: da questa forma quasi di trasgressione di fronte a questa cifra totemica, il regista sembra continuare il suo dialogo con l’artista plastico.

Pur avendo delle amicizie in comune i due non si sono mai incontrati. A chiudere la mostra una “costellazione” dei luoghi che hanno frequentato, che rivela quanto il loro viaggio sia stato pieno di opportunità e d’incontri mancati.

Quando Fellini sognava Picasso è un’immersione nel deboradante mondo onirico e fantasmagorico, nei labirinti dell’inconscio, alla ricerca delle fonti delle visioni e dei processi creativi. Un bell’omaggio all’influenza che Picasso ha avuto nella cinematografia dell’autore riminese.

 

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