L’Insomnia e la creazione artistica di Lena Vandrey

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 13 Giugno 2022

Tempo stimato per la lettura: 5,9 minuti

«L’artista è il bambino che resta ribelle e che dice no all’ordine» sostiene Lena Vandrey. Pittrice, scultrice, scrittrice, donna dai mille talenti, a cui il Castello di Hauterives, dedica la prima retrospettiva in Francia, intitolata Insomnia. Grazie alla collaborazione tra Frédéric Legros, direttore del Palazzo Ideale del postino Cheval e la vedova di Lena Vandrey, Mina Noubadji-Huttenlocher, fino al 28 agosto 2022, il pubblico può immergersi l’universo di quest’artista difficilmente etichettabile. L’esposizione riunisce più di 150 opere – grandi tele, assemblaggi, acquerelli, disegni, sculture, poesie, documenti d’archivio… – che sono stati poco mostrati al pubblico al di fuori della sua casa-museo a Bourg-Saint-Andéol, il Museo degli Angeli – Lena Vandrey. Il titolo della mostra proviene dal soprannome che Jean Dubuffet, il quale collezionò i suoi lavori, le diede, “insonnia” appunto. La notte era per lei il momento più fecondo della creazione.
Il tempo sospeso dell’esposizione
Il visitatore già alla biglietteria del castello può ammirare alcune opere dell’artista, tra cui un autoritratto all’età di 15 anni – un volto androgino, dove emerge dallo sguardo una grande forza, tutta la potenza creatrice di questa donna. La mostra, che si articola su due piani, investe ogni spazio, abitando il castello. I curatori hanno voluto ricreare l’atmosfera del Museo degli Angeli, dove si trovano si trovano oltre 900 opere dell’artista. Da qui la difficoltà a selezionare quelle da esporre nella mostra. A metà percorso un video realizzato per l’occasione, come un incontro con l’artista. Una chiacchierata tra Frédéric Legros e Mina Noubadji-Huttenlocher, inframezzata da immagini tratte d’interviste a Lena Vandrey.
Ritratto di Lena Vandrey all’esterno dell’atelier Les Planes, 1996
Affinità elettive tra Ferdinand e Lena
Per i curatori dell’esposizione è quasi un’evidenza che le opere dell’artista tedesca, nata nel 1941 a Breslavia e francese d’adozione, vengano presentate vicino al Palazzo ideale del postino Cheval. Questa “similitudine di destino” come la definisce Mina Noubadji-Huttenlocher, è il ponte che unisce i due artisti. Legame anche fisico, dato che il Castello di Hauterives è separato dal Palazzo ideale da un piccolo ponte che sormonta un ruscello. Infatti, come Ferdinand Cheval raccolse e costruì con delle pietre in 33 anni il suo palazzo, così Lena ha raccolto molteplici oggetti per realizzare le sue opere durante tutta la sua vita.
Archivista e alchimista
Quindi, Lena Vandrey è stata una sorte d’archivista, ha raccolto, accumulato e assemblato per preservare la memoria e il passato. Nostalgia (“qualcosa di morto”) e desiderio (“qualcosa di vivo”) sono anche due nozioni indissolubilmente legate nella costituzione dei suoi archivi. Le sue opere “reliquiari” sono memoriali di un’epoca che svanisce, della sua infanzia tormentata e del tempo che passa… E come un alchimista, o una strega, ha mescolato cera, conchiglie, tessuti, vetro, legno, pelle di serpente, che hanno assunto un’altra vita. In queste tele materiche, gli occhi dei personaggi sono degli specchi, proprio perché gli occhi sono lo specchio dell’anima. Il telaio in legno fa parte dell’opera stessa. Diventa finestra dalla quale dei personaggi si affacciano o il palco dove si svolge una scena. Oppure si trasforma nelle sbarre di una prigione a cui le sagome sono legate, come dopo un vano tentativo di uscirne fuori. E ancora, i quadri sono dipinti su entrambi i lati: due aspetti della stessa opera. Purtroppo, il visitatore resterà un po’ frustrato nel non aver potuto vedere cosa “nascondo” alcune tele.
Les Anges a Gerusalemme, 1999
La sua lotta femminista
L’opera di Lena Vandrey è di rara potenza e Insomnia è un’opera in sé stessa. Un’immersione nel mondo complesso e affascinante di quest’artista, i cui tutti i suoi lavori sono carichi di una valenza simbolica e politica. «Il femminismo è stata la grande avventura della mia vita» ha dichiarato. Donna, artista, omosessuale è stata legata dagli anni ’60 al movimento femminista in Francia. La sua opera è profondamente abitata dalla consapevolezza di scrivere una storia da un punto di vista femminista attraverso gli soggetti che rappresenta e i legami che la uniscono ad altre artiste e scrittrici, come Monique Wittig, Hélène Cixous e Niki de Saint Phalle. In quanto femminista dichiarata, esplora in particolare l’identità delle donne. Una femminilità libera e plurale dove la fragilità degli “Angeli”, creature androgine, incontra la vitalità delle “Amazzoni guerriere”. I suoi ritratti di divinità sono dedicati a figure mitologiche o religiose. Questo forte interesse per la spiritualità l’ha portata a collezionare arte sacra femminile e a creare i propri “reliquiari”, installazioni di una grande minuzia.
L’arte come dovere di memoria
Lena Vandrey aveva una memoria d’elefante. E forse non è per coincidenza quest’animale è stato il suo feticcio. Durante la Seconda guerra mondiale, data l’estrema povertà, una sua zia trasformò un guanto di pelle in un giocattolo, in un elefante. Oggetto che l’artista ha costudito ed esposto in una delle sue installazioni “reliquario”, in quanto simbolo di un’infanzia rubata dalla guerra, che l’ha profondamente segnata. Un trauma che portò l’artista ad autoesiliarsi in Francia dalla Germania, che considerava un Nazione amnesica. Si domandava come potesse dimenticare le atrocità commesse. Il suo lavoro rispecchia anche l’austerità che ha subito e che si è imposta. Per anni ha vissuto senza corrente elettrica e acqua in un’abbazia che ha interamente ricostruito da sola (altra affinità elettiva con Ferdinand Cheval). Tutto può essere utile, riutilizzato, trovare una nuova vita. Concetti che ritornano in questo periodo, ma che hanno forgiato intere generazioni in passato.
Insomnia, installazione di opere di Lena Vandrey, 2022 © Cristina Biordi
Vivere con i propri fantasmi domestici
Lena Vandrey ha sviluppato un’opera originale, solitaria e profondamente segnata dalla femminilità. Un’opera caratterizzata da una singolarità di pensiero e d’introspezione che ha generato lavori di grande pregio in cui gli elementi della vita di tutti i giorni diventano dei fantasmi domestici, evocando luoghi intimi e tecniche antiche, come l’encausto. Insomnia è un’esposizione che non si può vedere di fretta. Ogni opera richiede attenzione e stupore, per la ricchezza dei particolari, per gli assemblaggi degli oggetti presenti, per i molteplici significati e perché la loro bellezza è una calamita. L’opera di Lena Vandrey parla a ogni tipo di pubblico: parla, come sosteneva, a chi sa ascoltarla.

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Published On: 13 Giugno 2022

About the Author: Cristina Biordi

Tempo stimato per la lettura: 17 minuti

«L’artista è il bambino che resta ribelle e che dice no all’ordine» sostiene Lena Vandrey. Pittrice, scultrice, scrittrice, donna dai mille talenti, a cui il Castello di Hauterives, dedica la prima retrospettiva in Francia, intitolata Insomnia. Grazie alla collaborazione tra Frédéric Legros, direttore del Palazzo Ideale del postino Cheval e la vedova di Lena Vandrey, Mina Noubadji-Huttenlocher, fino al 28 agosto 2022, il pubblico può immergersi l’universo di quest’artista difficilmente etichettabile. L’esposizione riunisce più di 150 opere – grandi tele, assemblaggi, acquerelli, disegni, sculture, poesie, documenti d’archivio… – che sono stati poco mostrati al pubblico al di fuori della sua casa-museo a Bourg-Saint-Andéol, il Museo degli Angeli – Lena Vandrey. Il titolo della mostra proviene dal soprannome che Jean Dubuffet, il quale collezionò i suoi lavori, le diede, “insonnia” appunto. La notte era per lei il momento più fecondo della creazione.
Il tempo sospeso dell’esposizione
Il visitatore già alla biglietteria del castello può ammirare alcune opere dell’artista, tra cui un autoritratto all’età di 15 anni – un volto androgino, dove emerge dallo sguardo una grande forza, tutta la potenza creatrice di questa donna. La mostra, che si articola su due piani, investe ogni spazio, abitando il castello. I curatori hanno voluto ricreare l’atmosfera del Museo degli Angeli, dove si trovano si trovano oltre 900 opere dell’artista. Da qui la difficoltà a selezionare quelle da esporre nella mostra. A metà percorso un video realizzato per l’occasione, come un incontro con l’artista. Una chiacchierata tra Frédéric Legros e Mina Noubadji-Huttenlocher, inframezzata da immagini tratte d’interviste a Lena Vandrey.
Ritratto di Lena Vandrey all’esterno dell’atelier Les Planes, 1996
Affinità elettive tra Ferdinand e Lena
Per i curatori dell’esposizione è quasi un’evidenza che le opere dell’artista tedesca, nata nel 1941 a Breslavia e francese d’adozione, vengano presentate vicino al Palazzo ideale del postino Cheval. Questa “similitudine di destino” come la definisce Mina Noubadji-Huttenlocher, è il ponte che unisce i due artisti. Legame anche fisico, dato che il Castello di Hauterives è separato dal Palazzo ideale da un piccolo ponte che sormonta un ruscello. Infatti, come Ferdinand Cheval raccolse e costruì con delle pietre in 33 anni il suo palazzo, così Lena ha raccolto molteplici oggetti per realizzare le sue opere durante tutta la sua vita.
Archivista e alchimista
Quindi, Lena Vandrey è stata una sorte d’archivista, ha raccolto, accumulato e assemblato per preservare la memoria e il passato. Nostalgia (“qualcosa di morto”) e desiderio (“qualcosa di vivo”) sono anche due nozioni indissolubilmente legate nella costituzione dei suoi archivi. Le sue opere “reliquiari” sono memoriali di un’epoca che svanisce, della sua infanzia tormentata e del tempo che passa… E come un alchimista, o una strega, ha mescolato cera, conchiglie, tessuti, vetro, legno, pelle di serpente, che hanno assunto un’altra vita. In queste tele materiche, gli occhi dei personaggi sono degli specchi, proprio perché gli occhi sono lo specchio dell’anima. Il telaio in legno fa parte dell’opera stessa. Diventa finestra dalla quale dei personaggi si affacciano o il palco dove si svolge una scena. Oppure si trasforma nelle sbarre di una prigione a cui le sagome sono legate, come dopo un vano tentativo di uscirne fuori. E ancora, i quadri sono dipinti su entrambi i lati: due aspetti della stessa opera. Purtroppo, il visitatore resterà un po’ frustrato nel non aver potuto vedere cosa “nascondo” alcune tele.
Les Anges a Gerusalemme, 1999
La sua lotta femminista
L’opera di Lena Vandrey è di rara potenza e Insomnia è un’opera in sé stessa. Un’immersione nel mondo complesso e affascinante di quest’artista, i cui tutti i suoi lavori sono carichi di una valenza simbolica e politica. «Il femminismo è stata la grande avventura della mia vita» ha dichiarato. Donna, artista, omosessuale è stata legata dagli anni ’60 al movimento femminista in Francia. La sua opera è profondamente abitata dalla consapevolezza di scrivere una storia da un punto di vista femminista attraverso gli soggetti che rappresenta e i legami che la uniscono ad altre artiste e scrittrici, come Monique Wittig, Hélène Cixous e Niki de Saint Phalle. In quanto femminista dichiarata, esplora in particolare l’identità delle donne. Una femminilità libera e plurale dove la fragilità degli “Angeli”, creature androgine, incontra la vitalità delle “Amazzoni guerriere”. I suoi ritratti di divinità sono dedicati a figure mitologiche o religiose. Questo forte interesse per la spiritualità l’ha portata a collezionare arte sacra femminile e a creare i propri “reliquiari”, installazioni di una grande minuzia.
L’arte come dovere di memoria
Lena Vandrey aveva una memoria d’elefante. E forse non è per coincidenza quest’animale è stato il suo feticcio. Durante la Seconda guerra mondiale, data l’estrema povertà, una sua zia trasformò un guanto di pelle in un giocattolo, in un elefante. Oggetto che l’artista ha costudito ed esposto in una delle sue installazioni “reliquario”, in quanto simbolo di un’infanzia rubata dalla guerra, che l’ha profondamente segnata. Un trauma che portò l’artista ad autoesiliarsi in Francia dalla Germania, che considerava un Nazione amnesica. Si domandava come potesse dimenticare le atrocità commesse. Il suo lavoro rispecchia anche l’austerità che ha subito e che si è imposta. Per anni ha vissuto senza corrente elettrica e acqua in un’abbazia che ha interamente ricostruito da sola (altra affinità elettiva con Ferdinand Cheval). Tutto può essere utile, riutilizzato, trovare una nuova vita. Concetti che ritornano in questo periodo, ma che hanno forgiato intere generazioni in passato.
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