Marc Riboud. Storie possibili

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 17 Maggio 2021

Tempo stimato per la lettura: 4,3 minuti

Aspettando la riapertura in Francia, il 15 dicembre 2020, dei luoghi culturali, tutto è pronto al Museo nazionale delle arti asiatiche – Guimet (MNAAG) di Parigi, per accogliere il pubblico nel massimo rispetto delle regole sanitarie.

Un bellissimo regalo di Natale per gli amanti della fotografia, dell’Asia e dell’arte in generale: una meravigliosa retrospettiva dedicata al fotografo francese Marc Riboud, visitabile dal 19 maggio al 6 settembre 2021.

Questi scatti fanno parte delle collezioni del MNAAG, come aveva desiderato l’artista stesso, dato che il suo lavoro è stato fortemente caratterizzato dall’amore verso l’Asia. Un’acquisizione che è il frutto di un percorso iniziato nel 2013, quando Sophie Makariou, nominata alla presidenza del museo, prese i primi contatti con Catherine Riboud Chaine, moglie del grande fotografo. Per la prima volta, l’istituzione parigina presenta il fondo ricevuto dal grande fotografo alla sua morte, nel 2016.

Figura di spicco della fotografia, Marc Riboud ha segnato la seconda metà del XX° secolo attraverso la sua visione profondamente personale del mondo. Fotografo più che fotoreporter, ha lasciato più di 50.000 fotografie (negativi, diapositive e prove su carta) dove l’Asia domina.

L’esposizione ripercorre cronologicamente i suoi viaggi in Europa, in Asia, in Africa e in America del nord. Sono presenti, inoltre, le copertine realizzate per diverse riviste quali Life o Paris Match, i numerosi cataloghi, e alcuni suoi oggetti personali, come una cartina dell’Asia che usò durante i suoi viaggi.

L’ampia retrospettiva mette in luce il viaggio di una vita, dalle sue prime fotografie scattate a Lione – la città della sua infanzia – e nella Francia del dopoguerra, fino agli scatti dei suoi ultimi anni presi in Cina, soprattutto sulle montagne di Huang Shan, che chiudono appunto il percorso espositivo.

Marc Riboud realizza i suoi primi reportage all’estero seguendo i consigli di Robert Capa e Henri Cartier- Bresson, fondatori dell’agenzia Magnum a cui ha aderito nel 1953 fino al 1979. Entra in contatto con i suoi mentori grazie alla sua celebre foto del “Pittore della Tour Eiffel” del 1953. Capa, trovandolo talentuoso ma estremamente timido, lo esortò a lasciare Parigi e ad andare in Inghilterra.

Dai circoli della classe operaia britannica, alla Jugoslavia, Riboud prosegue la sua esplorazione verso l’Oriente islamico. La prima grande avventura inizia nel 1955 dalla Turchia per poi recarsi in Libano, Siria, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Cambogia, Bangladesh e Nepal. Nel 1957, sarà la volta della Cina, all’epoca ancora molto chiusa. L’anno successivo si reca in Giappone, concludendo così il suo percorso di tre anni in Asia.

Dai suoi lunghi soggiorni nel sud-est asiatico, riporta immagini essenziali, cattura un continente in rapida evoluzione, attraverso degli scatti realizzati con una geometria rigorosa e una profonda sensibilità. Le sue immagini di scene di vita quotidiana costituiscono una testimonianza storica importante. Lontano da ogni sensazionalismo, il suo sguardo accoglie uomini e donne, nella loro universalità come nel turbine dei grandi sconvolgimenti che hanno scandito la storia della seconda metà del XX° secolo.

La luce, la composizione delle fotografie d’interni è notevole. Emerge un profondo rispetto per i protagonisti della scena. Senza trascurare l’arte della composizione, forgia un’opera in cui traspare una profonda sensibilità per gli esseri umani, nella loro solitudine come nelle loro avventure collettive. Durante il suo viaggio, cattura immagini potenti di folle. Posa uno sguardo sensibile principalmente sulle donne, di cui sottolinea una certa melanconia, la bellezza del gesto e la grazia dei movimenti.

Poi arriva il resto del mondo: Alaska, Maghreb e Africa, Cuba, Stati Uniti. Fu a Washington, nel 1967, che fotografa “La ragazza con il fiore”, che è diventata un’icona mondiale della lotta contro la guerra nel Vietnam.

L’ultima parte della mostra è dedicata ancora all’Asia: Vietnam, Bangladesh e Cambogia. I suoi non sono reportage di guerra. Vuole cogliere tutti gli aspetti della storia, dai vari punti di vista. Marc Riboud se ne occupa con dignità, producendo immagini contenute, travolgenti e universali.

La Cina, infine, si racconta in bianco e nero ma anche a colori. Il fotografo francese vi ritorna regolarmente per immortalare le evoluzioni e i paradossi di un regime politico che introduce nella sua società dei profondi cambiamenti: dalla Rivoluzione culturale al «boom» economico. Nella regione dell’Anhui, cattura l’essenza impalpabile della bellezza delle rocce “di zucchero di canna” coperte da un velo di nebbia, dalle nuvole basse e da pini snelli modellati dal vento.

“Marc Riboud e la Cina” sembra quasi un pleonasmo, visto che il nome del fotografo, come quest’esposizione lo conferma, è spessissimo associato a questo paese che visitò per più di cinquant’anni, dal 1957 al 2010. Lo vide cambiare, ne trascrisse le sue evoluzioni senza ideologia, senza pregiudizi, con acutezza e con una forte passione per l’altro, che gli ha fatto porre sempre l’essere umano al centro del suo sguardo.

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Published On: 17 Maggio 2021

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Un bellissimo regalo di Natale per gli amanti della fotografia, dell’Asia e dell’arte in generale: una meravigliosa retrospettiva dedicata al fotografo francese Marc Riboud, visitabile dal 19 maggio al 6 settembre 2021.

Questi scatti fanno parte delle collezioni del MNAAG, come aveva desiderato l’artista stesso, dato che il suo lavoro è stato fortemente caratterizzato dall’amore verso l’Asia. Un’acquisizione che è il frutto di un percorso iniziato nel 2013, quando Sophie Makariou, nominata alla presidenza del museo, prese i primi contatti con Catherine Riboud Chaine, moglie del grande fotografo. Per la prima volta, l’istituzione parigina presenta il fondo ricevuto dal grande fotografo alla sua morte, nel 2016.

Figura di spicco della fotografia, Marc Riboud ha segnato la seconda metà del XX° secolo attraverso la sua visione profondamente personale del mondo. Fotografo più che fotoreporter, ha lasciato più di 50.000 fotografie (negativi, diapositive e prove su carta) dove l’Asia domina.

L’esposizione ripercorre cronologicamente i suoi viaggi in Europa, in Asia, in Africa e in America del nord. Sono presenti, inoltre, le copertine realizzate per diverse riviste quali Life o Paris Match, i numerosi cataloghi, e alcuni suoi oggetti personali, come una cartina dell’Asia che usò durante i suoi viaggi.

L’ampia retrospettiva mette in luce il viaggio di una vita, dalle sue prime fotografie scattate a Lione – la città della sua infanzia – e nella Francia del dopoguerra, fino agli scatti dei suoi ultimi anni presi in Cina, soprattutto sulle montagne di Huang Shan, che chiudono appunto il percorso espositivo.

Marc Riboud realizza i suoi primi reportage all’estero seguendo i consigli di Robert Capa e Henri Cartier- Bresson, fondatori dell’agenzia Magnum a cui ha aderito nel 1953 fino al 1979. Entra in contatto con i suoi mentori grazie alla sua celebre foto del “Pittore della Tour Eiffel” del 1953. Capa, trovandolo talentuoso ma estremamente timido, lo esortò a lasciare Parigi e ad andare in Inghilterra.

Dai circoli della classe operaia britannica, alla Jugoslavia, Riboud prosegue la sua esplorazione verso l’Oriente islamico. La prima grande avventura inizia nel 1955 dalla Turchia per poi recarsi in Libano, Siria, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Cambogia, Bangladesh e Nepal. Nel 1957, sarà la volta della Cina, all’epoca ancora molto chiusa. L’anno successivo si reca in Giappone, concludendo così il suo percorso di tre anni in Asia.

Dai suoi lunghi soggiorni nel sud-est asiatico, riporta immagini essenziali, cattura un continente in rapida evoluzione, attraverso degli scatti realizzati con una geometria rigorosa e una profonda sensibilità. Le sue immagini di scene di vita quotidiana costituiscono una testimonianza storica importante. Lontano da ogni sensazionalismo, il suo sguardo accoglie uomini e donne, nella loro universalità come nel turbine dei grandi sconvolgimenti che hanno scandito la storia della seconda metà del XX° secolo.

La luce, la composizione delle fotografie d’interni è notevole. Emerge un profondo rispetto per i protagonisti della scena. Senza trascurare l’arte della composizione, forgia un’opera in cui traspare una profonda sensibilità per gli esseri umani, nella loro solitudine come nelle loro avventure collettive. Durante il suo viaggio, cattura immagini potenti di folle. Posa uno sguardo sensibile principalmente sulle donne, di cui sottolinea una certa melanconia, la bellezza del gesto e la grazia dei movimenti.

Poi arriva il resto del mondo: Alaska, Maghreb e Africa, Cuba, Stati Uniti. Fu a Washington, nel 1967, che fotografa “La ragazza con il fiore”, che è diventata un’icona mondiale della lotta contro la guerra nel Vietnam.

L’ultima parte della mostra è dedicata ancora all’Asia: Vietnam, Bangladesh e Cambogia. I suoi non sono reportage di guerra. Vuole cogliere tutti gli aspetti della storia, dai vari punti di vista. Marc Riboud se ne occupa con dignità, producendo immagini contenute, travolgenti e universali.

La Cina, infine, si racconta in bianco e nero ma anche a colori. Il fotografo francese vi ritorna regolarmente per immortalare le evoluzioni e i paradossi di un regime politico che introduce nella sua società dei profondi cambiamenti: dalla Rivoluzione culturale al «boom» economico. Nella regione dell’Anhui, cattura l’essenza impalpabile della bellezza delle rocce “di zucchero di canna” coperte da un velo di nebbia, dalle nuvole basse e da pini snelli modellati dal vento.

“Marc Riboud e la Cina” sembra quasi un pleonasmo, visto che il nome del fotografo, come quest’esposizione lo conferma, è spessissimo associato a questo paese che visitò per più di cinquant’anni, dal 1957 al 2010. Lo vide cambiare, ne trascrisse le sue evoluzioni senza ideologia, senza pregiudizi, con acutezza e con una forte passione per l’altro, che gli ha fatto porre sempre l’essere umano al centro del suo sguardo.

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