La creatività? Uno sguardo su quello che non c’è. Cecilia Dazzi si racconta

About the Author: Alessia

Published On: 30 Giugno 2016

Tempo stimato per la lettura: 4,5 minuti

In questa intervista Cecilia Dazzi, stasera 30 giugno impegnata al Cine@Donna – tre giorni di manifestazione con film, incontri, mostre e ospiti, che celebrano la donna e la cultura, attraverso il cinema – si racconta, divisa tra vita privata e il mestiere più bello del mondo, quello artistico. E svela che l’attore è un po’ tutto: sceneggiatore, saltimbanco, investigatore, chimico e visionario….

Prima domanda: cosa significa per te la parola creatività?

Una volta un amico ha detto a me e mia madre che eravamo due creative…lei ha cominciato a bofonchiare; la parola creatività le da fastidio. Sua madre faceva fiori di stoffa per le Sorelle Fontana e suo padre era un libraio che quotidianamente scambiava libri con Flaiano, Cardarelli, Moravia, Maccari, Ungaretti, Zavattini. L’ironia era l’ossigeno dei loro cervelli. Secondo me la creatività è uno sguardo su quello che non c’è, è un aggiungere qualcosa di giocoso, che non pensa, saetta. Il creativo è un ironico perché mette in atto quello che non c’è in quello che già c’è. È un: perché no?

Trovi momenti creativi nell’ordinario, nella vita di tutti i giorni, o nello straordinario, ovvero in particolari momenti della vita?

La creatività per me è la soluzione ad ogni problema: ultimamente gira quasi tutto intorno ai miei figli di due anni. Ieri ho ribaltato due poltrone che, una di fronte all’altra, con una coperta sopra, sono diventate una casetta in cui i miei due figli si sono infilati a giocare, ridendo complici. Oppure: non vogliono fare il bagno? Faccio raccogliere tutte le macchinine e chiedo loro di aiutarmi a lavarle. Ho cucito per loro golf e gilet, riciclando vecchi golf del papà. Ho ricamato sui buchi dei loro golf mega-insetti colorati; forse li sto portando sulla “cattiva” strada!

Fascino e carisma aiutano l’attore nella sua carriera, ha detto qualcuno. Sei d’accordo?

Da una parte sono doti fondamentali, dall’altra ho conosciuto attori straordinari che nella vita sono persone addirittura…“sgradevoli”; la soluzione sia, credo, quella di azionare una leva segreta, che funziona solo se la sai usare.

Il lavoro dell’attore è dettato più dalla creatività o, al contrario, dalla disciplina e dall’applicazione?

In Italia siamo straordinari nella disorganizzazione e il mestiere viene in soccorso ascoltando una tecnica che sfrutta con grande naturalezza la creatività. Le soluzioni secondo me sono un misto di istinto e ingegneria, senza costanza non emerge la creatività. Il mito dell’attore che si sveglia tardi e fa le bizze è letteratura, i più grandi attori sono puntuali e non considerano creatività, ma lavoro quello che fanno. I meri esecutori non trasmettono le emozioni, secondo me; e quelli che non puntellano i guizzi di genio, si disperdono.

Il ruolo che hai trovato più difficile da interpretare e quello a cui sei più legata. 

Il ruolo più difficile di solito è quello scritto nel modo peggiore. Quando un personaggio è scritto ad arte, per quanto difficile, implica di più la parola “faticoso” nella sua costruzione e espressione. Però da subito senti che la “missione” ha un senso. Naturalmente questo non esclude anche crisi e dubbi insieme all’ispirazione. Non ti dico quale è il mio personaggio preferito, ma sono pochi i registi che hanno voglia di manipolare, scolpire, assemblare l’attore.

Desideri ed aspirazioni: già da bambina sognavi di entrare a far parte del mondo dello spettacolo?

Ho respirato il set da quando ero piccolissima, ho capito subito che non sarebbe stata una marmellata di albicocche, e forse proprio per questo mi ci sono tuffata. Nel mestiere dell’attore c’è un po’ di tutto: sceneggiatore, saltimbanco, investigatore, chimico e visionario. Ogni progetto è un caso a sé, è sempre diverso da come te lo immagini e finché non lo vedi sullo schermo non sai come è riuscito. Mi ricordo che a sei anni, all’alba, sono stata in una sala trucco: quell’ambiente mi ha incantata, c’era una magia e un’intimità che anche ora ritrovo quando inizia la giornata lavorativa sul set.

Una parte a cui rinunceresti subito e una che accetteresti a occhi chiusi…

Rinuncio senza rimpianti ai ruoli che non sento, quelli convenzionali che non danno spunto alla mia creatività. Più che altro è il contesto che fa il la del diapason; se l’orchestra ha strumenti con cui non riesco ad immaginare interrelazione, non parte la scintilla. Per il resto, per quanto folli, strani, piccoli o eccessivi, sono i benvenuti.

Sei un’attrice eclettica di cinema, televisione ma anche autrice musicale e conduttrice: fuori dalle luci della ribalta, com’è Cecilia?

Non faccio differenza tra una disciplina e l’altra: l’intensità con cui mi applico è più o meno simile; è un lavoro, la testa è sulle spalle, pure se piena di idee. La musica e la radio anche se sembrano distanti dal mestiere di attore, in realtà ne fanno parte. Siamo dei mercenari nel senso buono! Se ci può essere, uh, Cecilia? E chi lo sa com’è’?!

Photo by: Gianni Cipriani

 

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Published On: 30 Giugno 2016

About the Author: Alessia

Tempo stimato per la lettura: 13 minuti

In questa intervista Cecilia Dazzi, stasera 30 giugno impegnata al Cine@Donna – tre giorni di manifestazione con film, incontri, mostre e ospiti, che celebrano la donna e la cultura, attraverso il cinema – si racconta, divisa tra vita privata e il mestiere più bello del mondo, quello artistico. E svela che l’attore è un po’ tutto: sceneggiatore, saltimbanco, investigatore, chimico e visionario….

Prima domanda: cosa significa per te la parola creatività?

Una volta un amico ha detto a me e mia madre che eravamo due creative…lei ha cominciato a bofonchiare; la parola creatività le da fastidio. Sua madre faceva fiori di stoffa per le Sorelle Fontana e suo padre era un libraio che quotidianamente scambiava libri con Flaiano, Cardarelli, Moravia, Maccari, Ungaretti, Zavattini. L’ironia era l’ossigeno dei loro cervelli. Secondo me la creatività è uno sguardo su quello che non c’è, è un aggiungere qualcosa di giocoso, che non pensa, saetta. Il creativo è un ironico perché mette in atto quello che non c’è in quello che già c’è. È un: perché no?

Trovi momenti creativi nell’ordinario, nella vita di tutti i giorni, o nello straordinario, ovvero in particolari momenti della vita?

La creatività per me è la soluzione ad ogni problema: ultimamente gira quasi tutto intorno ai miei figli di due anni. Ieri ho ribaltato due poltrone che, una di fronte all’altra, con una coperta sopra, sono diventate una casetta in cui i miei due figli si sono infilati a giocare, ridendo complici. Oppure: non vogliono fare il bagno? Faccio raccogliere tutte le macchinine e chiedo loro di aiutarmi a lavarle. Ho cucito per loro golf e gilet, riciclando vecchi golf del papà. Ho ricamato sui buchi dei loro golf mega-insetti colorati; forse li sto portando sulla “cattiva” strada!

Fascino e carisma aiutano l’attore nella sua carriera, ha detto qualcuno. Sei d’accordo?

Da una parte sono doti fondamentali, dall’altra ho conosciuto attori straordinari che nella vita sono persone addirittura…“sgradevoli”; la soluzione sia, credo, quella di azionare una leva segreta, che funziona solo se la sai usare.

Il lavoro dell’attore è dettato più dalla creatività o, al contrario, dalla disciplina e dall’applicazione?

In Italia siamo straordinari nella disorganizzazione e il mestiere viene in soccorso ascoltando una tecnica che sfrutta con grande naturalezza la creatività. Le soluzioni secondo me sono un misto di istinto e ingegneria, senza costanza non emerge la creatività. Il mito dell’attore che si sveglia tardi e fa le bizze è letteratura, i più grandi attori sono puntuali e non considerano creatività, ma lavoro quello che fanno. I meri esecutori non trasmettono le emozioni, secondo me; e quelli che non puntellano i guizzi di genio, si disperdono.

Il ruolo che hai trovato più difficile da interpretare e quello a cui sei più legata. 

Il ruolo più difficile di solito è quello scritto nel modo peggiore. Quando un personaggio è scritto ad arte, per quanto difficile, implica di più la parola “faticoso” nella sua costruzione e espressione. Però da subito senti che la “missione” ha un senso. Naturalmente questo non esclude anche crisi e dubbi insieme all’ispirazione. Non ti dico quale è il mio personaggio preferito, ma sono pochi i registi che hanno voglia di manipolare, scolpire, assemblare l’attore.

Desideri ed aspirazioni: già da bambina sognavi di entrare a far parte del mondo dello spettacolo?

Ho respirato il set da quando ero piccolissima, ho capito subito che non sarebbe stata una marmellata di albicocche, e forse proprio per questo mi ci sono tuffata. Nel mestiere dell’attore c’è un po’ di tutto: sceneggiatore, saltimbanco, investigatore, chimico e visionario. Ogni progetto è un caso a sé, è sempre diverso da come te lo immagini e finché non lo vedi sullo schermo non sai come è riuscito. Mi ricordo che a sei anni, all’alba, sono stata in una sala trucco: quell’ambiente mi ha incantata, c’era una magia e un’intimità che anche ora ritrovo quando inizia la giornata lavorativa sul set.

Una parte a cui rinunceresti subito e una che accetteresti a occhi chiusi…

Rinuncio senza rimpianti ai ruoli che non sento, quelli convenzionali che non danno spunto alla mia creatività. Più che altro è il contesto che fa il la del diapason; se l’orchestra ha strumenti con cui non riesco ad immaginare interrelazione, non parte la scintilla. Per il resto, per quanto folli, strani, piccoli o eccessivi, sono i benvenuti.

Sei un’attrice eclettica di cinema, televisione ma anche autrice musicale e conduttrice: fuori dalle luci della ribalta, com’è Cecilia?

Non faccio differenza tra una disciplina e l’altra: l’intensità con cui mi applico è più o meno simile; è un lavoro, la testa è sulle spalle, pure se piena di idee. La musica e la radio anche se sembrano distanti dal mestiere di attore, in realtà ne fanno parte. Siamo dei mercenari nel senso buono! Se ci può essere, uh, Cecilia? E chi lo sa com’è’?!

Photo by: Gianni Cipriani

 

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