Intervista a Crivez, vincitrice della sezione “Grafica” nell’ultima edizione Biennale MArteLive

About the Author: Alessia

Published On: 9 Agosto 2020

Tempo stimato per la lettura: 7,6 minuti

Giulia Crivellaro, in arte Crivez, nata a New York nel 1990, vive a Roma.
È sempre stata legata all’ambito del disegno e dell’illustrazione sin da quando ha imparato a tenere in mano una matita. Ha cominciato a studiare nel campo nel 2002 frequentando il corso di disegno e tecnica del fumetto presso la SRF – Scuola Romana dei Fumetti. Ha studiato design del prodotto, e grafica, l’amore per l’animazione la ha condotta alla Nemo Academy di Firenze. Lavora attualmente come free lancer collaborando con diversi studi di grafica in Italia. Nelle sue creazioni le piace dare forma alle idee e raccontare storie.

Ci racconti l’esperienza con MArteLive? Perché hai deciso di partecipare e cosa significa per te aver vinto la finale?
MArteLive è l’esperienza che consiglio a qualsiasi artista emergente in qualsiasi campo. Era tempo che volevo partecipare al concorso, ma vuoi per idee che non mi convincevano, vuoi per il lavoro, ho sempre rimandato, fino all’ultima edizione. Non partecipo a molti concorsi, e quando inviai l’opera era un periodo particolare della mia vita, e mi sono detta “Perché no?”. A prescindere da come sarebbe andata, avevo voglia di buttarmi in una situazione a me lontana.Diciamo che stavo cercando stimoli, e l’unico modo per trovarli era sperimentare. Mai mi sarei aspettata di arrivare in finale, tanto meno di vincere nella sezione scelta. È stata una bella sorpresa!

Come è nato il tuo lavoro per MArteLive, ti ricordi le sensazioni che ti hanno portato a creare quell’opera d’arte? Che impressione ti fa tornare a percepirle dopo questo periodo di lock-down?
Il lavoro per MArteLive è nato un po’ a caso. Ero molto giù di morale, e istintivamente avevo bisogno di visualizzare quello che provavo. Ci avevo lavorato per alcuni giorni, avevo già tutto in mente, ma molte volte dovevo interrompere perché la tristezza era troppa da gestire. Ad oggi le sensazioni che provo dopo il lock-down sono molto diverse, mi rendo conto di come sono cambiata, volendo cresciuta. Stilisticamente parlando, ma anche personalmente. Sono avvenute molte cose dalla creazione dell’opera stessa, e adesso guardarla mi dà la sensazione di un ricordo lontano, di una ferita rimarginata. Come se fosse un tatuaggio che rappresenta un esatto periodo della mia vita, qualcosa che testimonia delle sensazioni che mai avrei pensato di riuscire a superare. Eppure è lì, a ricordarmi quanto le sfide nella vita possano rappresentare delle grandi opportunità. la quarantena, tra le altre cose, è stata decisamente un’enorme sfida.

Come si sta sviluppando la tua attività artistica? Quali sono i tuoi prossimi obiettivi? È cambiato qualcosa, hai scoperto nuovi materiali o nuove tecniche o nuovi stimoli creativi?
L’opera vincitrice della sezione grafica ha rappresentato l’inizio di un percorso creativo, che ancora non so esattamente dove potrebbe arrivare, probabilmente a causa della mia personalissima interpretazione di attività artistica. Lavorando molto come freelancer difficilmente mi definisco io stessa un’artista, anche se la dicitura che uso per definire la mia professione è “visual artist”. Mi sono sempre considerata più una mercenaria nel campo. Eppure, grazie al concorso, ho riscoperto un nuovo aspetto della mia attività: se mi dedicavo alla realizzazione personale di una piccola opera, era per soddisfare un bisogno istantaneo, definito, fine a sé stesso, quasi più per non perdere la mano, che per altro. Cominciando a scavarmi dentro, producendo successivamente al concorso pezzi che hanno un filo conduttore con “l’opera zero”, è nata l’idea per un progetto potenzialmente più grande. In prospettiva ci sono diverse possibilità. Tra queste anche quella per cui sono solo felice di poter continuare rappresentare una parte di me, e constatare quanto degli sconosciuti riescano a comprenderla, a stabilire una connessione.

Cosa significa per te la parola “creatività”?
Essendo cresciuta in un ambiente “creativo”, tra (tanti) libri, dischi, fumetti, film, per me la creatività è familiarità. Credo che tutti ne abbiano almeno un pizzico, la collego anche all’esercizio del cosiddetto “pensiero laterale” o divergente. In un senso più legato all’arte, come accennavo nella risposta precedente, trovo che sia un modo per connettere in profondità con il pubblico. La bellezza di un’opera è soggettiva, può ispirare, può piacere, ma anche no. Quando un estraneo riesce a immedesimarsi nei miei lavori, a prescindere dalla tecnica o dal soggetto, anche trovando un’interpretazione diversa da quella di partenza, immagino sempre che l’opera in quel momento della sua vita gli stia parlando. Si crea una forma di familiarità, appunto. Sentirsi compresi, e leggersi in un’opera d’arte, fa sentire meno soli. Trovo che sia questa la grande potenza della creatività.

Se dovessi pensare ad un quadro di Renoir, aquale parte del corpo collegheresti la tua opera?
Se penso alla mia produzione ultimamente, ammetto che mi è molto difficile pensare ad un’unica parte del corpo. Mi viene più naturale pensare a una palette, a uno stile. Uso spesso figure intere, tranne rarissime eccezioni. Penso dipenda da una deformazione professionale, lavorando anche nel campo dell’animazione, sono abituata a pensare quanto sia importante rendere un movimento, un’espressione, con pochi tratti, senza tralasciare mai una parte del personaggio in scena – altrimenti perderebbe “vita”. Riguardando le mie ultime illustrazioni però salta all’occhio una campitura nera sempre presente: i capelli. Forse la risposta è i capelli. Che banalità! Ma mica possiamo essere tutti come Renoir.

Cosa ha significato per te il lockdown, come lo hai vissuto?
La pratica della solitudine, dell’eremitaggio, dello starsene a casa a lavorare, è una pratica che conosco fin troppo bene. L’ho passato con un “party” un po’ difficile – non devo spiegarla la reference a D&D, vero? – ma niente di incredibilmente diverso da ciò che ho vissuto prima del lock-down, e che sto vivendo ora. Mi mancava poter decomprimere, uscire di casa, passare del tempo con gli amici, andare a un pub la sera a chiusura di una giornata di lavoro davanti lo schermo. Il computer era diventato il mio unico strumento per svagarmi, e parlare con le persone che fanno parte della mia vita al di fuori della mia famiglia, ed è stato un po’ deprimente realizzare come anche questa cosa non mi era del tutto nuova. Da quando si può ricominciare a uscire, lavoro permettendo, stacco più volentieri la spina. Anche solo per poter parlare in balcone con i miei migliori amici che sono, appunto, anche i miei vicini di casa- una delle grandi fortune che ho avuto, in questo lock-down, di quelle che mi hanno fatto capire quanto sia importante non dare niente per scontato.

Qual è il “consiglio” che ti dai più spesso?
Mi dico sempre di non prendermi troppo sul serio, che la vita è solo “un giro di giostra”, e preoccuparsi per delle sciocchezze fa solo perdere di vista le cose importanti. Tutto sta nel definire solo cosa è sciocchezza, e cosa è importante. Avrei bisogno di un consiglio anche io ogni tanto per capirlo. Mi consiglio di imparare ad accoglierli, i consigli altrui, e anche gli aiuti, più spesso di quanto abbia fatto finora.

Quale artista del passato o del presente rappresenta per te una fonte di ammirazione e ispirazione? Riusciresti a farmi una genealogia di artisti prima di arrivare a te?
Banalmente, partirei da Vincent Van Gogh, perché Vincent tocca sempre un po’ le corde di tutti, con la sua vita tormentata, e i suoi tratti agitati ma sistemici sulla tela. Sono affascinata da artisti moderni, da chi ha usato la pittura in maniera non tradizionale, non convenzionale, che nel contesto presente sono ormai nomi stra-conosciuti, copiati, riprodotti, capitalizzati su calzini e borse di tela. Poi ci sono disegnatori, fumettisti, animatori – ricordo di quando avevo “scoperto” il sito questo artista, Matteo De Longis, che credo dovrebbe pubblicare qualcosa per BAO prossimamente, che aveva una sezione dedicata ai suoi artisti preferiti, che inevitabilmente, insieme a lui, sono diventati una grandissima fonte di studio, ricerca, e ispirazione. Ad oggi penso a Stefan Sagmeister, non propriamente un artista, ma sicuramente una figura eccezionale, per la versatilità dei suoi lavori, per il suo processo creativo, sempre originale. Si percepisce il cuore, la felicità stessa nell’esercizio del già citato pensiero laterale. Non posso non citare uno scrittore, Neil Gaiman, che a parole sa “graficizzare” dei mondi incredibili, pieni di personaggi tanto reali, così veri, anche se in contesti puramente fantasy.

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Published On: 9 Agosto 2020

About the Author: Alessia

Tempo stimato per la lettura: 23 minuti

Giulia Crivellaro, in arte Crivez, nata a New York nel 1990, vive a Roma.
È sempre stata legata all’ambito del disegno e dell’illustrazione sin da quando ha imparato a tenere in mano una matita. Ha cominciato a studiare nel campo nel 2002 frequentando il corso di disegno e tecnica del fumetto presso la SRF – Scuola Romana dei Fumetti. Ha studiato design del prodotto, e grafica, l’amore per l’animazione la ha condotta alla Nemo Academy di Firenze. Lavora attualmente come free lancer collaborando con diversi studi di grafica in Italia. Nelle sue creazioni le piace dare forma alle idee e raccontare storie.

Ci racconti l’esperienza con MArteLive? Perché hai deciso di partecipare e cosa significa per te aver vinto la finale?
MArteLive è l’esperienza che consiglio a qualsiasi artista emergente in qualsiasi campo. Era tempo che volevo partecipare al concorso, ma vuoi per idee che non mi convincevano, vuoi per il lavoro, ho sempre rimandato, fino all’ultima edizione. Non partecipo a molti concorsi, e quando inviai l’opera era un periodo particolare della mia vita, e mi sono detta “Perché no?”. A prescindere da come sarebbe andata, avevo voglia di buttarmi in una situazione a me lontana.Diciamo che stavo cercando stimoli, e l’unico modo per trovarli era sperimentare. Mai mi sarei aspettata di arrivare in finale, tanto meno di vincere nella sezione scelta. È stata una bella sorpresa!

Come è nato il tuo lavoro per MArteLive, ti ricordi le sensazioni che ti hanno portato a creare quell’opera d’arte? Che impressione ti fa tornare a percepirle dopo questo periodo di lock-down?
Il lavoro per MArteLive è nato un po’ a caso. Ero molto giù di morale, e istintivamente avevo bisogno di visualizzare quello che provavo. Ci avevo lavorato per alcuni giorni, avevo già tutto in mente, ma molte volte dovevo interrompere perché la tristezza era troppa da gestire. Ad oggi le sensazioni che provo dopo il lock-down sono molto diverse, mi rendo conto di come sono cambiata, volendo cresciuta. Stilisticamente parlando, ma anche personalmente. Sono avvenute molte cose dalla creazione dell’opera stessa, e adesso guardarla mi dà la sensazione di un ricordo lontano, di una ferita rimarginata. Come se fosse un tatuaggio che rappresenta un esatto periodo della mia vita, qualcosa che testimonia delle sensazioni che mai avrei pensato di riuscire a superare. Eppure è lì, a ricordarmi quanto le sfide nella vita possano rappresentare delle grandi opportunità. la quarantena, tra le altre cose, è stata decisamente un’enorme sfida.

Come si sta sviluppando la tua attività artistica? Quali sono i tuoi prossimi obiettivi? È cambiato qualcosa, hai scoperto nuovi materiali o nuove tecniche o nuovi stimoli creativi?
L’opera vincitrice della sezione grafica ha rappresentato l’inizio di un percorso creativo, che ancora non so esattamente dove potrebbe arrivare, probabilmente a causa della mia personalissima interpretazione di attività artistica. Lavorando molto come freelancer difficilmente mi definisco io stessa un’artista, anche se la dicitura che uso per definire la mia professione è “visual artist”. Mi sono sempre considerata più una mercenaria nel campo. Eppure, grazie al concorso, ho riscoperto un nuovo aspetto della mia attività: se mi dedicavo alla realizzazione personale di una piccola opera, era per soddisfare un bisogno istantaneo, definito, fine a sé stesso, quasi più per non perdere la mano, che per altro. Cominciando a scavarmi dentro, producendo successivamente al concorso pezzi che hanno un filo conduttore con “l’opera zero”, è nata l’idea per un progetto potenzialmente più grande. In prospettiva ci sono diverse possibilità. Tra queste anche quella per cui sono solo felice di poter continuare rappresentare una parte di me, e constatare quanto degli sconosciuti riescano a comprenderla, a stabilire una connessione.

Cosa significa per te la parola “creatività”?
Essendo cresciuta in un ambiente “creativo”, tra (tanti) libri, dischi, fumetti, film, per me la creatività è familiarità. Credo che tutti ne abbiano almeno un pizzico, la collego anche all’esercizio del cosiddetto “pensiero laterale” o divergente. In un senso più legato all’arte, come accennavo nella risposta precedente, trovo che sia un modo per connettere in profondità con il pubblico. La bellezza di un’opera è soggettiva, può ispirare, può piacere, ma anche no. Quando un estraneo riesce a immedesimarsi nei miei lavori, a prescindere dalla tecnica o dal soggetto, anche trovando un’interpretazione diversa da quella di partenza, immagino sempre che l’opera in quel momento della sua vita gli stia parlando. Si crea una forma di familiarità, appunto. Sentirsi compresi, e leggersi in un’opera d’arte, fa sentire meno soli. Trovo che sia questa la grande potenza della creatività.

Se dovessi pensare ad un quadro di Renoir, aquale parte del corpo collegheresti la tua opera?
Se penso alla mia produzione ultimamente, ammetto che mi è molto difficile pensare ad un’unica parte del corpo. Mi viene più naturale pensare a una palette, a uno stile. Uso spesso figure intere, tranne rarissime eccezioni. Penso dipenda da una deformazione professionale, lavorando anche nel campo dell’animazione, sono abituata a pensare quanto sia importante rendere un movimento, un’espressione, con pochi tratti, senza tralasciare mai una parte del personaggio in scena – altrimenti perderebbe “vita”. Riguardando le mie ultime illustrazioni però salta all’occhio una campitura nera sempre presente: i capelli. Forse la risposta è i capelli. Che banalità! Ma mica possiamo essere tutti come Renoir.

Cosa ha significato per te il lockdown, come lo hai vissuto?
La pratica della solitudine, dell’eremitaggio, dello starsene a casa a lavorare, è una pratica che conosco fin troppo bene. L’ho passato con un “party” un po’ difficile – non devo spiegarla la reference a D&D, vero? – ma niente di incredibilmente diverso da ciò che ho vissuto prima del lock-down, e che sto vivendo ora. Mi mancava poter decomprimere, uscire di casa, passare del tempo con gli amici, andare a un pub la sera a chiusura di una giornata di lavoro davanti lo schermo. Il computer era diventato il mio unico strumento per svagarmi, e parlare con le persone che fanno parte della mia vita al di fuori della mia famiglia, ed è stato un po’ deprimente realizzare come anche questa cosa non mi era del tutto nuova. Da quando si può ricominciare a uscire, lavoro permettendo, stacco più volentieri la spina. Anche solo per poter parlare in balcone con i miei migliori amici che sono, appunto, anche i miei vicini di casa- una delle grandi fortune che ho avuto, in questo lock-down, di quelle che mi hanno fatto capire quanto sia importante non dare niente per scontato.

Qual è il “consiglio” che ti dai più spesso?
Mi dico sempre di non prendermi troppo sul serio, che la vita è solo “un giro di giostra”, e preoccuparsi per delle sciocchezze fa solo perdere di vista le cose importanti. Tutto sta nel definire solo cosa è sciocchezza, e cosa è importante. Avrei bisogno di un consiglio anche io ogni tanto per capirlo. Mi consiglio di imparare ad accoglierli, i consigli altrui, e anche gli aiuti, più spesso di quanto abbia fatto finora.

Quale artista del passato o del presente rappresenta per te una fonte di ammirazione e ispirazione? Riusciresti a farmi una genealogia di artisti prima di arrivare a te?
Banalmente, partirei da Vincent Van Gogh, perché Vincent tocca sempre un po’ le corde di tutti, con la sua vita tormentata, e i suoi tratti agitati ma sistemici sulla tela. Sono affascinata da artisti moderni, da chi ha usato la pittura in maniera non tradizionale, non convenzionale, che nel contesto presente sono ormai nomi stra-conosciuti, copiati, riprodotti, capitalizzati su calzini e borse di tela. Poi ci sono disegnatori, fumettisti, animatori – ricordo di quando avevo “scoperto” il sito questo artista, Matteo De Longis, che credo dovrebbe pubblicare qualcosa per BAO prossimamente, che aveva una sezione dedicata ai suoi artisti preferiti, che inevitabilmente, insieme a lui, sono diventati una grandissima fonte di studio, ricerca, e ispirazione. Ad oggi penso a Stefan Sagmeister, non propriamente un artista, ma sicuramente una figura eccezionale, per la versatilità dei suoi lavori, per il suo processo creativo, sempre originale. Si percepisce il cuore, la felicità stessa nell’esercizio del già citato pensiero laterale. Non posso non citare uno scrittore, Neil Gaiman, che a parole sa “graficizzare” dei mondi incredibili, pieni di personaggi tanto reali, così veri, anche se in contesti puramente fantasy.

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