Francesco Esposito, fotografo dello Studio Cromosoma, racconta la sua ricerca di immagini e atmosfere

About the Author: Alessia

Published On: 12 Ottobre 2018

Tempo stimato per la lettura: 5,5 minuti

Francesco Esposito, dello Studio Cromosoma, vive e lavora a Roma.
In questa intervista a ViviCreativo racconta il suo lavoro, partendo dagli “esordi” (“rubavo la macchina fotografica di mio padre per fare le foto alle mie compagne di classe”) fino ad esprimere un desiderio: aspettare che tutti i punti si uniscano per formare il disegno finale.

Il tuo primo ricordo con la macchina fotografica…
Diciamo che vengo da una famiglia di appassionati, ricordo che rubavo la macchina fotografica di mio padre per fare le foto alle mie compagne di classe, alle case abbandonate e alle statuette di plastilina che facevo con i personaggi di H. P. Lovecraft.

Oggi si fotografa sempre di più con gli smartphone (vedi il successo dei vari social, in particolare Instagram): qual è il tuo rapporto con il digitale?
Assolutamente favorevole, abbiamo forse una valida alternativa?

I tuoi fotografi di riferimento…
Credo che la fotografia occupi solo una piccola fetta della comunicazione visiva globale, quindi, spesso mi ritrovo a ricercare più immagini che fotografie. Seguo un fantastico genio contemporaneo che è Chris LaBrooy: non possiamo definirlo un fotografo in quanto il risultato delle sue opere 3D si ottiene da una conoscenza profonda della luce. Così come il pittore Jeremy Gaddes, che riesce a creare più opere fotografiche lui con un pennello, che molti di noi con una macchina fotografica. Comunque, in questo momento, fotograficamente parlando, sono innamorato delle atmosfere di Evelyn Bencicova, le trovo splendide, adoro Alex Prager e, come sempre, seguo con tanto stupore i lavori di Eugenio Recuenco. Sarebbe bella la domanda inversa…da quali fotografi prendi le distanze?! Però, forse, un’intervista sola non sarebbe bastata.

Come definisci il tuo stile?
Nel bene e nel male senza dubbio unico.

Ci descrivi il tuo studio?
Lo Studio Cromosoma per molti fotografi a Roma è una tappa obbligata. È uno studio ben attrezzato, però, in realtà il vero valore di questo posto siamo noi soci, ognuno altamente specializzato nel proprio campo. Il problema, forse, è che siamo troppo timidi.

Come approcci al lavoro in team, necessario quando ti accingi a realizzare una campagna pubblicitaria?
Ho collaborato con parecchi team nel corso della mia carriera, ricordo ancora con piacere il primo…Avevo 24 anni (poco più che un ragazzino) in un piccolo spazio a San Lorenzo (Roma), il nome dello studio era “Burningstudio”: il trasporto emotivo dei brainstorming iniziali era passionale, un po’ per l’eta dei membri e un po’ perché uno di questi era la mia ex ragazza storica.
Con il tempo ho avuto modo di interfacciarmi con altre figure professionali, in situazioni sicuramente diverse, ma ugualmente piacevoli.
Devo dire che forse solo una volta mi sono trovato veramente male in un team…infatti l’ho abbandonato e, nonostante io abbia perso il lavoro, penso sia stata una delle scelte migliori della mia vita.

In quale momento della giornata sei più prolifico di idee? Quando nasce la tua ispirazione?
Sicuramente in bagno la mattina…no, dai scherzo! Dobbiamo sicuramente dividere in due macro categorie le esigenze di idee: nei progetti privati ho tutto il tempo, spesso sono punti mentali che si collegano dopo anni, formando nella mia testa un disegno ben preciso che ha avuto una sua maturazione.

Nella vita professionale spesso abbiamo una manciata di mezze giornate o addirittura poche ore per presentare una ventaglio di proposte efficaci. In questo caso è necessario immediatamente eludere l’ansia del vuoto siderale per la mancanza di slanci creativi, cominciando a stimolare la testa con immagini riprese sia dal web sia dai materiali cartacei (mai buttare le vecchie riviste piene di post-it). Quindi ci ritroveremo in una fase di “Pangea” che dovremmo scolpire e poi smussare, per vestire al meglio il progetto del nostro cliente.
No, comunque no, per me non c’è una fase ideale in cui avviene tutto questo, c’è un momento però in cui tutto questo ha un inizio, ovvero quando ti arriva sul telefono una chiamata, spesso di una persona che non conosci, che ti fissa appuntamento in un posto X della tua città. per parlare di foto o di una campagna di prodotto.

Cosa significa per te “fotografare”?
Non vorrei rovinare le vostre romantiche previsioni…per me fotografare significa lavorare.

Che genere di fotografia vorresti esplorare?
Premetto che non amo moltissimo viaggiare, però vorrei trovare una chiave di lettura “nuova” per la fotografia di paesaggio. Non so se questo avverrà, forse ho trovato un piccolo input situato a parecchi anni luce da quello che faccio ora…Forse, come descritto qualche domanda fa, devo aspettare che i punti si uniscano per formare il disegno finale.

Ci puoi raccontare la tua esperienza come docente di formazione?
Ricordo che la notte prima del mio primo giorno di “scuola” non ho dormito. Non amo parlare davanti ad una platea, non amo celebrare i miei lavori davanti ad un pubblico, in sostanza tutto mi faceva presagire un’esperienza totalmente negativa.
Dopo i primi 10 minuti di impaccio iniziale, invece, ho cominciato a parlare e far vedere quello che faccio, a rompere il ghiaccio, insomma, con dei perfetti sconosciuti. I discorsi mi uscivano naturali e veloci. Ho iniziato a insegnare a 28 anni in una classe di circa 50 persone adulte: ho tenuto banco, come si dice, per questo mi sono scoperto come una persona nuova.
L’esperienza di docente mi ha permesso non solo di condividere le mie tecniche, ma anche di esprimere la mia vita attraverso il mio lavoro.

Cosa farai domani (progetti per il futuro)…
Alcuni giorni desidero nuove sfide lavorative, altri li passo ad invidiare i commessi di game stop (giuro che è vero), altri ancora mi vedo altrove, magari in città con temperature che non superino i 20 gradi l’estate. Poi ci sono le giornate “silent hill” ovvero quei giorni dove la nebbia ti fa vedere a malapena il dopodomani, però poi arrivano anche quei giorni dove mi guardo indietro e dico “Accipicchia”(rido) quante cose ho fatto nella mia vita lavorativa”! Altri invece sogno di avere una figlia e chiamarla Zelda.

FB: Francesco Esposito, Cromosoma Photo Academy
Instagram: Francesco Esposito

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Francesco Esposito, fotografo dello Studio Cromosoma, racconta la sua ricerca di immagini e atmosfere

Published On: 12 Ottobre 2018

About the Author: Alessia

Tempo stimato per la lettura: 16 minuti

Francesco Esposito, dello Studio Cromosoma, vive e lavora a Roma.
In questa intervista a ViviCreativo racconta il suo lavoro, partendo dagli “esordi” (“rubavo la macchina fotografica di mio padre per fare le foto alle mie compagne di classe”) fino ad esprimere un desiderio: aspettare che tutti i punti si uniscano per formare il disegno finale.

Il tuo primo ricordo con la macchina fotografica…
Diciamo che vengo da una famiglia di appassionati, ricordo che rubavo la macchina fotografica di mio padre per fare le foto alle mie compagne di classe, alle case abbandonate e alle statuette di plastilina che facevo con i personaggi di H. P. Lovecraft.

Oggi si fotografa sempre di più con gli smartphone (vedi il successo dei vari social, in particolare Instagram): qual è il tuo rapporto con il digitale?
Assolutamente favorevole, abbiamo forse una valida alternativa?

I tuoi fotografi di riferimento…
Credo che la fotografia occupi solo una piccola fetta della comunicazione visiva globale, quindi, spesso mi ritrovo a ricercare più immagini che fotografie. Seguo un fantastico genio contemporaneo che è Chris LaBrooy: non possiamo definirlo un fotografo in quanto il risultato delle sue opere 3D si ottiene da una conoscenza profonda della luce. Così come il pittore Jeremy Gaddes, che riesce a creare più opere fotografiche lui con un pennello, che molti di noi con una macchina fotografica. Comunque, in questo momento, fotograficamente parlando, sono innamorato delle atmosfere di Evelyn Bencicova, le trovo splendide, adoro Alex Prager e, come sempre, seguo con tanto stupore i lavori di Eugenio Recuenco. Sarebbe bella la domanda inversa…da quali fotografi prendi le distanze?! Però, forse, un’intervista sola non sarebbe bastata.

Come definisci il tuo stile?
Nel bene e nel male senza dubbio unico.

Ci descrivi il tuo studio?
Lo Studio Cromosoma per molti fotografi a Roma è una tappa obbligata. È uno studio ben attrezzato, però, in realtà il vero valore di questo posto siamo noi soci, ognuno altamente specializzato nel proprio campo. Il problema, forse, è che siamo troppo timidi.

Come approcci al lavoro in team, necessario quando ti accingi a realizzare una campagna pubblicitaria?
Ho collaborato con parecchi team nel corso della mia carriera, ricordo ancora con piacere il primo…Avevo 24 anni (poco più che un ragazzino) in un piccolo spazio a San Lorenzo (Roma), il nome dello studio era “Burningstudio”: il trasporto emotivo dei brainstorming iniziali era passionale, un po’ per l’eta dei membri e un po’ perché uno di questi era la mia ex ragazza storica.
Con il tempo ho avuto modo di interfacciarmi con altre figure professionali, in situazioni sicuramente diverse, ma ugualmente piacevoli.
Devo dire che forse solo una volta mi sono trovato veramente male in un team…infatti l’ho abbandonato e, nonostante io abbia perso il lavoro, penso sia stata una delle scelte migliori della mia vita.

In quale momento della giornata sei più prolifico di idee? Quando nasce la tua ispirazione?
Sicuramente in bagno la mattina…no, dai scherzo! Dobbiamo sicuramente dividere in due macro categorie le esigenze di idee: nei progetti privati ho tutto il tempo, spesso sono punti mentali che si collegano dopo anni, formando nella mia testa un disegno ben preciso che ha avuto una sua maturazione.

Nella vita professionale spesso abbiamo una manciata di mezze giornate o addirittura poche ore per presentare una ventaglio di proposte efficaci. In questo caso è necessario immediatamente eludere l’ansia del vuoto siderale per la mancanza di slanci creativi, cominciando a stimolare la testa con immagini riprese sia dal web sia dai materiali cartacei (mai buttare le vecchie riviste piene di post-it). Quindi ci ritroveremo in una fase di “Pangea” che dovremmo scolpire e poi smussare, per vestire al meglio il progetto del nostro cliente.
No, comunque no, per me non c’è una fase ideale in cui avviene tutto questo, c’è un momento però in cui tutto questo ha un inizio, ovvero quando ti arriva sul telefono una chiamata, spesso di una persona che non conosci, che ti fissa appuntamento in un posto X della tua città. per parlare di foto o di una campagna di prodotto.

Cosa significa per te “fotografare”?
Non vorrei rovinare le vostre romantiche previsioni…per me fotografare significa lavorare.

Che genere di fotografia vorresti esplorare?
Premetto che non amo moltissimo viaggiare, però vorrei trovare una chiave di lettura “nuova” per la fotografia di paesaggio. Non so se questo avverrà, forse ho trovato un piccolo input situato a parecchi anni luce da quello che faccio ora…Forse, come descritto qualche domanda fa, devo aspettare che i punti si uniscano per formare il disegno finale.

Ci puoi raccontare la tua esperienza come docente di formazione?
Ricordo che la notte prima del mio primo giorno di “scuola” non ho dormito. Non amo parlare davanti ad una platea, non amo celebrare i miei lavori davanti ad un pubblico, in sostanza tutto mi faceva presagire un’esperienza totalmente negativa.
Dopo i primi 10 minuti di impaccio iniziale, invece, ho cominciato a parlare e far vedere quello che faccio, a rompere il ghiaccio, insomma, con dei perfetti sconosciuti. I discorsi mi uscivano naturali e veloci. Ho iniziato a insegnare a 28 anni in una classe di circa 50 persone adulte: ho tenuto banco, come si dice, per questo mi sono scoperto come una persona nuova.
L’esperienza di docente mi ha permesso non solo di condividere le mie tecniche, ma anche di esprimere la mia vita attraverso il mio lavoro.

Cosa farai domani (progetti per il futuro)…
Alcuni giorni desidero nuove sfide lavorative, altri li passo ad invidiare i commessi di game stop (giuro che è vero), altri ancora mi vedo altrove, magari in città con temperature che non superino i 20 gradi l’estate. Poi ci sono le giornate “silent hill” ovvero quei giorni dove la nebbia ti fa vedere a malapena il dopodomani, però poi arrivano anche quei giorni dove mi guardo indietro e dico “Accipicchia”(rido) quante cose ho fatto nella mia vita lavorativa”! Altri invece sogno di avere una figlia e chiamarla Zelda.

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